Politica

Meimarakis contro Tsipras: nemici costretti all'intesa

Scontro verbale duro, ma il leader di Syriza e quello conservatore sanno che dovranno allearsi dopo il voto

AteneDue leader allo specchio che, al netto di appartenenze, storie e destini, sanno già che da soli non andranno da nessuna parte. Oggi la Grecia, chiamata nuovamente alle urne, non è alle prese solo con il rompicapo delle alleanze che tra poche ore sarà al centro dell'agenda politica nazionale con, dietro l'angolo, il mercato delle vacche. Ma soprattutto con i tratti somatici e le falle di chi, da destra e da sinistra, chiede voti e fiducia. Da un lato Alexis Tsipras, «pokerista fino ad oggi perdente». L'ex premier prima ha promesso di stracciare il memorandum imposto dai diktat di Bruxelles e Berlino, salvo siglarne uno peggiore dei precedenti. Poi ha annunciato più diritti e più welfare, ma ha avallato, con la firma in calce sulle nuove misure, il taglio delle pensioni che ci sarà entro fine anno se i conti non torneranno sotto l'Acropoli e neanche il Fondo Monetario Internazionale scommette che lo saranno completamente. E ancora, ha sottolineato che senza riforme e investimenti stranieri non ci sarà la ripresa, ma giusto ieri i cinesi di Cosco China, spazientiti da elezioni e ritardi, hanno acquistato il più grande porto privato turco, Kumport Terminal, nella baia di Marmaris al prezzo di 918 milioni di dollari mentre tutti aspettavano la privatizzazione del Pireo ad Atene. Una volta di più l'illusione rossa dell'antipolitica che, raggiunto il potere, fa mestamente marcia indietro perché insostenibile nella gestione reale delle cose, ma che produce anche riverberi alla voce perdite, visto che questi otto mesi di tira e molla con i creditori sono costati alla Grecia almeno 60 miliardi, fra mercati in subbuglio, mancati investimenti e peggioramento delle condizioni complessive.

Dall'altro versante della barricata ecco quello che, sparuti e coraggiosi media ellenici, hanno ribattezzato «l'uomo Siemens»: Vanghelis Meimarakis, protagonista da ministro della Difesa di numerose forniture di armi alla Grecia via Berlino, finite sotto la lente di ingrandimento della magistratura. Sommergibili con timone rotto, tank senza proiettili, penali milionarie corrisposte da Atene, missili per cacciabombardieri finiti chissà dove e a prezzi inspiegabilmente lievitati. L'intero dossier, che coinvolge anche l'altro ex ministro della difesa, Evangelos Venizelos, ex numero uno del Pasok, già vicepremier sino al dicembre scorso, campeggia sul tavolo di un pm ateniese, anche se probabilmente farà poca strada, vista la bizantina norma per l'autorizzazione a procedere che in pratica non arriva mai in Aula. Rare volte si ricorda che la Grecia è il quarto importatore di armi al mondo e che, nel vecchio continente, detiene il record della più alta percentuale del suo pil spesa per carri armati e caccia, a fronte di una mortalità infantile aumentata al pari della denutrizione fra bambini sino a dieci anni. Se Meimarakis dovesse vincere o se, da secondo, dovesse ricevere il mandato dal Capo dello Stato, ha già annunciato un governissimo con chi ci sta, in primis i socialisti del Pasok con cui ha condiviso appalti e debiti, visto che è stata proprio la loro gestione congiunta del paese post ingresso nell'euro a gettare le basi per il disastro finanziario detonato nel 2011. A cui l'austerità berlinese ha dato solo il colpo di grazia.

twitter@FDepalo

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