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Meloni si affranca dalla Lega Ma la vera partita resta Milano

La sfida di Roma cambia gli equilibri tra i due leader. La vittoria di Parisi favorirebbe anche una ricomposizione con Berlusconi

Meloni si affranca dalla Lega Ma la vera partita resta Milano

La batteria dei cosiddetti «dichiaranti» parte che è metà pomeriggio, quando uno dopo l'altro deputati e senatori della Lega si affrettano a giurare che «no, Matteo Salvini non esce affatto indebolito dalla tornata elettorale». Lo ripetono in molti, lo assicura il capogruppo alla Camera Massimiliano Fedriga e lo ribadisce il suo omologo al Senato Gian Marco Centinaio: «Né indebolito, né ridimensionato». È la certificazione, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il leader della Lega ha sentito eccome il contraccolpo di una tornata elettorale decisamente sotto le aspettative. Di qui, la necessità di far partire la contraerea per provare a ribaltare un mood che niente affatto positivo. Il punto non è tanto il paragone con le ultime elezioni - alle Europee 2014, pochi mesi dopo la nomina di Salvini a segretario federale, il Carroccio prese il 6,2% - quanto i voti che fino a ieri tutti i sondaggi accreditavano alla Lega. Insomma, se Salvini prima valeva un potenziale 16-18% nazionale, da oggi la sua cifra è quell'11,7% incassato a Milano (dove era capolista) e il deludente 2,7% preso a Roma.

Al di là delle dichiarazioni di circostanza - ieri il leader del Carroccio ha di nuovo rivendicato il buon risultato ottenuto oltre a dire che a Roma e Torino voterebbe per i Cinque stelle - non c'è dubbio che il primo turno di questa tornata amministrativa ci consegna un centrodestra con equilibri nuovi. Soprattutto nell'area di quella che viene impropriamente definita destra «lepenista», dove da oggi Giorgia Meloni può farsi forte del buon risultato incassato a Roma (20,6%). Dopo aver avuto il coraggio di misurarsi con le urne, insomma, la leader di Fratelli d'Italia può ora provare a ritagliarsi un ruolo di primo piano, con buona pace di Salvini che in più occasioni - ultima lo strappo su Roma con Silvio Berlusconi - è stato tentato dal fagocitarla.

Peraltro, l'ex ministro della Gioventù ha dalla sua anche il profilo che si è voluto costruire in questa campagna elettorale. La Meloni, infatti, ha limitato al minimo le apparizioni pubbliche con Salvini, non solo per evitare di avvicinarlo al suo elettorato ma anche perché ci ha tenuto a tenere un profilo decisamente meno populista. Il che non vuol dire che non abbia difeso le sue posizioni di destra, solo che le ha comunicate senza toni troppo enfatici e frasi ad effetto. Per capirci, senza le «ruspe».

Non un dettaglio. Soprattutto se Stefano Parisi dovesse portare a casa il ballottaggio a Milano. Al netto delle tensioni tra Berlusconi, Salvini e Meloni, non c'è infatti dubbio che una vittoria di Parisi sposterebbe la barra del centrodestra verso il fronte moderato. E magari, sull'onda dell'entusiasmo, favorirebbe una ricomposizione dopo le frizioni delle ultime settimane. Salvini, per dire, qualche segnale conciliante ha iniziato a mandarlo. Meno la Meloni, che a Roma si è scottata in prima persona, tanto che ancora ieri Fabio Rampelli chiedeva «quando Forza Italia intenda scusarsi con Giorgia». Nella Capitale, infatti, Berlusconi ha resistito allo strappo di Salvini e ha di fatto dimostrato di essere ancora decisivo o comunque non irrilevante come sperava Salvini. La Meloni, però, è andata non lontana dal ballottaggio e ha soprattutto doppiato Alfio Marchini, dando prova di avere una sua forza elettorale. Un quasi pareggio, insomma. Che nel caso di una vittoria del centrodestra a Milano potrebbe sfociare magari in una tregua. Scenario diverso, invece, se dovesse vincere Giuseppe Sala.

A quel punto il «rompete le righe» sarebbe forse lo scenario più probabile.

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