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Messico, i 3 italiani "venduti" a una gang

La confessione dei poliziotti arrestati: «Ceduti per 43 euro a un clan locale»

Raffaele Russo, Antonio Russo, Vincenzo Cimmino
Raffaele Russo, Antonio Russo, Vincenzo Cimmino

San Paolo Continua il mistero dei tre nostri connazionali - Raffaele e Antonio Russo, padre e figlio, e il cugino Vincenzo Cimmino - scomparsi il 31 gennaio a Tecalitlán, regione di Jalisco dove erano appena arrivati per vedere generatori elettrici cinesi di «scarsa qualità» spacciandoli, a detta del procuratore Raúl Sánchez, per «originali di marca». Il mistero continua nonostante ieri sia arrivata la confessione dei «4 poliziotti già arrestati» che «confermano di avere venduto i tre napoletani per 43 euro» a una non meglio specificata «gang locale». Come scritto il 26 febbraio scorso, tuttavia, questa versione non convince. In primis perché l'avvocato degli agenti accusati di averli «venduti» per un nonnulla 3 uomini e una donna, la centralinista che tra l'altro aveva in un primo momento confermato il fermo poliziesco di Antonio e Vincenzo l'altro ieri ha denunciato che sono stati brutalmente torturati.

La confessione sarebbe stata insomma loro estorta, cosa non improbabile visto il contesto. Di certo, il caso dei nostri desaparecidos assomiglia sempre di più a quello dei 43 studenti di Ayotzinapa, svaniti nel nulla nel 2014 perché stavano andando in bus nella vicina città di Iguala per contestare un comizio della moglie del sindaco, candidata a succedergli e collusa con il cartello Guerreros Unidos. In quel caso a dare l'input del massacro sinora è stato trovato solo il corpo di uno dei 43 era stata l'aspirante sindaca («dagli una lezione» disse al capo della polizia).

L'impressione è che i nostri desaparecidos siano stati anche loro vittime inconsapevoli di un contesto marcio dove polizia, politici e boss della droga locali formano in realtà una cupola unica che, da anni e in un numero di regioni sempre maggiori del Messico, compie nefandezze inenarrabili nella più totale impunità e indifferenza del governo centrale. Far infuriare il boss del cartello che domina a Tecalitlán, il Cartel Jalisco Nueva Generación (Cjng), vendendogli dei generatori «scarsi» invece che di marca e soprattutto indispensabili per processare chimicamente la coca nei tanti laboratori clandestini presenti in queste campagne basta come movente per scomparire. «Dategli una lezione» basta abbia detto al capo della polizia il boss locale del Cjng.

Per questo i quattro agenti in carcere sono solo la parte la più debole di una verità forse inconfessabile.

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