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Migranti, giustizia e Rai: patto obbligato tra Lega e Fi

Il centrodestra resta l'unica alleanza possibile per Salvini E lui intanto sfrutta le debolezze M5s: «Con loro ci sguazzo»

Migranti, giustizia e Rai: patto obbligato tra Lega e Fi

Un tempo, in Italia, un'alleanza politica si cementava su posizioni comuni sulla politica internazionale. Ebbene due giorni fa il premier ungherese, Victor Orbán, ha telefonato a Silvio Berlusconi per chiedergli i voti di Forza Italia nel Parlamento di Strasburgo contro la procedura che lo ha messo sul banco degli imputati. «Li avrai», ha risposto il Cav. E ieri i leghisti, che vedono in Orban un modello, si sono ritrovati insieme agli azzurri a difendere l'uomo di Budapest. Addirittura, Berlusconi e Salvini hanno accettato di andare in minoranza e ciò rende ancora più emblematica la loro convergenza. I grillini, invece, hanno votato contro, insieme a tutta la sinistra europea.

Un tempo, in Italia, un'alleanza politica si traduceva anche in amministrazioni locali dello stesso segno. E non è un mistero che tra una settimana potrebbe diventare pubblico un accordo tra il vice-premier leghista e il Cav: Forza Italia appoggerà in commissione di Vigilanza, capovolgendo la posizione di poco più di un mese fa, la nomina di Marcello Foa a presidente della Rai («una carica che non conta niente», ha sempre sostenuto con il suo spiccato pragmatismo il Cav); in cambio il Carroccio accetterà di correre insieme agli azzurri nelle regionali in Abruzzo, Basilicata, Piemonte e Sardegna. Per perfezionare l'intesa manca solo da decidere quali saranno i candidati, o, almeno, in quale regione ci sarà un nome espressione della Lega e in quale altra uno vicino a Forza Italia. «Ma il patto non può non farsi» scommette Stefano Mugnai, deputato azzurro del Valdarno: «Se il centrodestra si mette d'accordo, lo dicono i sondaggi, strappa pure la Toscana alla sinistra». La vecchia alleanza potrebbe prendersi addirittura i tre quarti delle Regioni del Paese. E condizionare il resto. «Ad Avellino - racconta Cosimo Sibilia, commissario azzurro in città - il sindaco grillino per governare è dovuto venire a patti con noi e la Lega, si è dovuto rimangiare il reddito di cittadinanza».

Un tempo, in Italia, un'alleanza politica si basava sulla solidarietà. Ebbene sulla vicenda del sequestro dei 49 milioni di euro o sulle accuse per il supposto sequestro degli immigrati della motovedetta Diciotti, Salvini ha avuto solo l'appoggio di Berlusconi e della Meloni. Gli altri, dal Pd ai 5stelle, tutti dalla parte dei giudici. L'ultimo a schierarsi è stato ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Specie il Pd - si lamenta Gaetano Quagliarello - sulla giustizia risponde al solito riflesso pavloviano. Facendo un favore a Salvini che vola nei sondaggi».

L'unica prova che mette in dubbio l'esistenza del centrodestra è, invece, lo strano governo che in questo momento guida il Paese. Ma, appunto, si tratta di un governo ben strano: guidato da un premier «tecnico», che, divorato dal dubbio se partecipare ad un concorso per una cattedra universitaria o ad un vertice internazionale, ogni tanto si affaccia a Palazzo Chigi per capire che aria tira; e in cui Salvini si ritrova come partner un benedetto ragazzo, al secolo Giggino Di Maio, che si inventa che il corpo umano è formato dal 90 per cento d'acqua e ignora la presenza di uno dei più noti Musei archeologici del Paese a Taranto, tanto da denunciarne pubblicamente l'assenza. Nel frattempo ipotizza la nazionalizzazione di Autostrade, firma alle porte dell'autunno un accordo sull'Ilva disfatto in estate, presenta una proposta di legge «anti-corruzione» che lo stesso Salvini considera «manettara», taglia le pensioni e coniuga, facendo a pugni con l'aritmetica, il reddito di cittadinanza con il rispetto dei parametri Ue.

Insomma, è il governo della Lega con una simpatica combriccola di scappati di casa. C'è da chiedersi allora, perché Salvini ci stia? A quanto raccontano nel cerchio stretto del leader leghista, la risposta è una sola: «Io - gli ha spiegato il leader leghista - con i grillini ci sguazzo. Li risucchio. E, poi, per come stanno messi, l'alternativa non sono le elezioni: questi sarebbero pronti a fare un governo con il Pd». E a guardare i sondaggi il personaggio ha le sue ragioni: in due mesi Lega più tre e grillini meno tre. I 5stelle sono divisi. «Il prezzo dell'alleanza con Salvini - si infervora la pasionaria pentastellata, Paola Nugnes dando voce alle inquietudini di Roberto Fico - è troppo alto. Troppo!». Mentre Stefano Lucidi, dell'ala governativa, è di parere opposto: «Io spero che l'alleanza con la Lega fra 5 anni si rinnovi». Quindi, i calcoli politici di Salvini hanno un senso. Come pure, probabilmente, le sue paure. Ieri reduce dalla commemorazione che Mattarella ha fatto di Oscar Luigi Scalfaro, Franco Sapio, ex parlamentare Pci, di casa al Quirinale con tre presidenti (Scalfaro, Ciampi e Napolitano), riportava la solita voce di Palazzo: «Questi non reggono. È già pronto un governo tecnico guidato da Cottarelli». Già, a venticinque anni dal ribaltone di Scalfaro e a sette dal «tecnico» Monti uscito dal cilindro del Nap, in certi ambienti i giochi sono sempre gli stessi.

Ecco perché al netto dei calcoli e delle paure di Salvini, alla fine, l'alleanza di centrodestra resta obbligata. «Che possiamo fare?», si chiede Claudio Fazzone, fedelissimo di Antonio Tajani: «Il Pd non trova di meglio contro Salvini che agitare l'arma giudiziaria facendogli un regalo! Siamo condannati a stare con la Lega». «A livello internazionale, vedi Orban - gli fa eco Francesco Giro, sempre vicino al presidente del Parlamento europeo -, siamo con i leghisti. A livello locale pure. Non ci sono alternative con il Pd che si accoda ai Pm». «Il problema - si lamenta Osvaldo Napoli - semmai è di avere maggior verve in questa strana fase: qui ti vietano addirittura di inserire il nome di Salvini nei comunicati di critica al governo».

Sono tutte analisi che fa una certa impressione ascoltare anche dalla bocca di Gianluigi Paragone, figura al crocevia dell'alleanza gialloverde. «Mai pensato - spiega - che il governo gialloverde avrebbe messo in crisi il centrodestra: quella resta l'alleanza strategica della Lega. Magari un centrodestra diverso, con un king-maker diverso, in un Ppe diverso». Già, il governo tra la Lega e gli scappati di casa, viste anche le prove, difficilmente diventerà nel lungo periodo un'opzione strategica alternativa al centro-destra.

Lo ammette pacioso anche un «castigamatti» antieuropeista, come il consigliere economico di Salvini, Claudio Borghi: «Ma poi, dai! Nel centrodestra non ci si trova male». Resta, però, lo «strano governo» e il dilemma che si porta dietro: quando Salvini si accorgerà che a volte i suoi calcoli politici, i suoi timori, cozzano con gli interessi di questo Paese?

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