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Minacce e omissioni. Il discorso vuoto di Xi senza nominare Trump

In 90 minuti il presidente non parla di nuovi piani e avverte: «Nessuno può dirci che fare»

Minacce e omissioni. Il discorso vuoto di Xi senza nominare Trump

Xi Jinping e Deng Xiaoping. La Cina del futuro e quella del passato, solo in apparenza nel segno della continuità. Dietro invece c'è tutta la rivalità e l'antagonismo covato e mai abbastanza sviscerato. Perché è la Cina e criticare apertamente proprio non si può.

Ecco perché nell'imponente cerimonia che si è svolta nella Grande sala del popolo del Parlamento a Pechino, davanti ai tremila funzionari e ospiti del Partito comunista cinese, convocata per celebrare i quarant'anni dall'inizio delle riforme economiche introdotte dall'ex presidente Deng Xiaoping, bisogna leggere tutto in controluce. Il momento più atteso è stato ovviamente il discorso del presidente Xi Jinping, che negli ultimi anni ha accentrato su di sé moltissimo potere. Eccolo il punto. Un modo di operare che col tempo ha creato sempre più crescenti malumori. La Cina soffre per il rallentamento della crescita economiche; le cifre non sono più esaltanti come ai tempi d'oro, e il nervosismo si fa sentire. I critici accusano Xi, e poi mettici anche la guerra commerciale con gli Stati Uniti di Donald Trump (mai citato durante i lunghissimi 90 minuti di discorso) che certo non aiuta. Un presidente accentratore Xi Jinping, accusato di assumere su di sé la responsabilità di troppi poteri, e che per di più sostiene politiche che frenano l'ambizione della Cina di diventare una superpotenza. E allora i malesseri si esprimono per vie traverse, non con le accuse dirette ma a colpi di sgarbi, come quelli del primo ministro Li Keqiang: il mese scorso ha pronunciato due discorsi durante una visita a Singapore e in entrambi ha tralasciato di citare Xi, atteggiamento non propriamente amichevole e assolutamente contrario alle regole usuali adottate dalla leadership cinese. Negli ultimi anni Li, così come molti altri nel partito, ha perso parecchia influenza sulle scelte economiche adottate dal governo. Come se non bastasse, Xi non ha fatto alcun riferimento concreto a nuove politiche o riforme, insomma, tutto pare resterà così. Ha ribadito il ruolo centrale del Partito comunista da decenni perno indiscusso del sistema cinese e ha detto che «tutto quello che si deve e si può riformare, sarà riformato». Discorso vago, senza riferimenti precisi e dal sapore tremendamente diplomatico. Eppure quarant'anni fa, il 18 dicembre 1978, Deng Xiaoping diceva al Partito comunista che era ora di «emancipare le menti e cercare la verità dai fatti». Ed era risultata la mossa vincente per buttarsi alle spalle il socialismo perseguito da Mao che era diventato sinonimo di povertà per tutti. Xi Jinping la sa usare bene la grande eredità di Deng Xiaoping, «Abbiamo raggiunto obiettivi epici, abbiamo mosso cielo e terra». E poi però avverte: «Per questo ora nessuno dall'esterno «può dettare alla Cina quello che deve o non deve fare». Ha premiato 100 pionieri della Grande apertura e delle riforme tra cui Jack Ma, fondatore di Alibaba. Poi l'esaltazione della Belt and Road, la Nuova Via della Seta, la sua creatura: «La svilupperemo, andremo lontani ma non cercheremo mai l'egemonia». L'obiettivo è «costruire una comunità del futuro condiviso per l'umanità. Di nuovo un monito, il più forte, a Trump, sempre senza citare il rivale: «Nessuno può dettare al popolo cinese quello che deve o non deve fare». Xi ha detto che i grandi sogni si realizzano con il lavoro duro sotto la guida del Partito, non con gli slogan. Eppure, figlio dei tempi moderni, anche Xi, apre a spot, usa parole ad effetto, che vogliono lasciare il segno, entrino in quella pancia del Paese che ascolta ed è ancora pronta ad applaudire il leader. «L'apertura porta progresso mentre la chiusura conduce all'arretratezza».

L'America è dall'altra parte che ascolta, hanno vinto quelli dell'America First, ma la Cina di Xi non vuole essere seconda a nessuno.

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