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Il ministro di ferro Minniti piace a destra solo a metà

Ad Atreju viene accolto tra gli applausi, ma quando parla di legge Fiano e di sgomberi partono i fischi

Il ministro di ferro Minniti piace a destra solo a metà

«Qui gli avversari sono accolti meglio degli amici, come nella nostra tradizione». La formula di benvenuto con cui Fabio Rampelli invita sul palco di Atreju Marco Minniti è quella classica e riflette il retaggio di una festa da sempre desiderosa di confrontarsi con altri mondi.

Il rischio che il confronto con il ministro di centrosinistra più stimato dal popolo di destra si traduca in un minuetto e in uno scambio di amorosi sensi è dietro l'angolo. Gli applausi di benvenuto sono convinti e all'ingresso c'è anche qualche richiesta di autografo. Un clima apparentemente fin troppo bipartisan tanto che l'uomo del Viminale ci scherza su e chiede apprezzamenti «cum grano salis».

E quando Mario Giordano che lo intervista con Gian Micalessin gli chiede se non si senta in imbarazzo lui replica pronto: «Troppi applausi? È esattamente quello che stavo pensando mentre stavo venendo qui: se mi applaudono molto dirò guardate che sono Minniti non Crozza». Battute non mancano neppure quando gli viene fatto notare che con la sua testa pelata potrebbe incorrere negli strali della Legge Fiano. Minniti sta al gioco. «Pensate che da sottosegretario alla presidenza del Consiglio mi è stata assegnata la stanza con la scrivania di Benito Mussolini e da sottosegretario alla Difesa con delega all'Aeronautica quella di Italo Balbo. Giuliano Ferrara volle vedere quella di Mussolini e scrisse con malizia che quella scrivania era in buone mani» racconta, ricordando anche gli articoli che su di lui scrisse un grande cronista politico scomparso prematuramente come Stefano Di Michele. E sulla stanza di Balbo ricorda la scritta che campeggiava dietro la sua sedia: «Chi non vola non vale, chi non vola e non vale è un vile». «Questa non è cultura della destra, è cultura di vita» ammette Minniti.

L'onore delle armi per aver accettato di intervenire «in trasferta» (Minniti qui era già venuto da sottosegretario), ma anche per l'iniziativa diplomatica che ha momentaneamente consentito una diminuzione degli sbarchi viene tributato con convinzione. Il dibattito, però, alla prova dei contenuti, si rivela più affilato e complicato del previsto. Esaurite le cordialità iniziali, di fronte alle rimostranze della platea Minniti mostra a volte di spazientirsi. E alla fine - pur in un perimetro di rispetto e civiltà - non riesce nella missione impossibile di conquistare i militanti di destra. I fischi arrivano puntuali quando difende la Legge Fiano e quando si muove su un terreno ambiguo sulla circolare che prevede gli sgomberi soltanto quando si ha già a disposizione una soluzione abitativa alternativa. Una prescrizione che contiene in sé una violazione del diritto costituzionale alla proprietà privata. La domanda è precisa, la risposta lo è meno, visto che Minniti si dice favorevole agli sgomberi «ma deve valere anche un principio di umanità», lasciando aperto il campo a una interpretazione delle norme.

Sulla Legge Fiano le distanze sono abissali. «Fiano è un parlamentare molto serio» esordisce Minniti. E lì arriva un «ehhhh» corale e di scherno. «Il suo disegno di legge ha una motivazione semplice: dobbiamo avere una democrazia e una destra che su alcuni temi abbia il coraggio di fare fino in fondo i conti col passato. Non dobbiamo in alcun modo consentire che nella nostra democrazia il morto afferri il vivo. Quella storia è stata purtroppo drammatica ed è finita per sempre». Fischi Minniti ne incassa anche quando ricorda che il Pci era «il Partito Comunista Italiano e di fronte all'interesse del Paese non ha mai guardato all'interesse particolare». Sulla difesa della ragion di Stato Minniti attinge al ricordo personale degli anni '70. «Ho vissuto una fase in cui gli avversari erano nemici, non torniamo mai più a quella fase politica. Se uno spara non può essere compagno di nessuno. Quando qualcuno sparava io sapevo che dovevo stare dall'altra parte». Paradigma di buonsenso che riaccende l'applauso della platea.

La chiosa sul Minniti-day è firmata da Giorgia Meloni.

«Minniti non è estraneo ai disastri della sinistra, non può essere considerato un patriota nella nostra accezione, ma ho molto rispetto per il coraggio e la determinazione che ha avuto oggi».

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