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Mirko, Kristal e i genitori: ultimi corpi dalle macerie

Il numero dei defunti accertati sale così a 43. Morto in ospedale il camionista romeno Marian

Mirko, Kristal e i genitori: ultimi corpi dalle macerie

Quarantadue, più uno. Totale quarantatre. Al numero dei corpi estratti dalle macerie - che a cinque giorni dal crollo del ponte Morandi si spera sia quello definitivo - ieri pomeriggio si è aggiunta un altro decesso, quello del camionista romeno Marian Rosca. Era ricoverato in rianimazione all'ospedale San Martino, all'inizio si pensava che fosse morto anche lui insieme al collega Gorj con cui viaggiava sullo stesso automezzo. Aveva 36 anni, Marian, e fin dall'inizio le sue condizioni erano disperate. A questo punto sono ancora ricoverati in dieci: sempre al San Martino migliora il 28enne genovese che tra un mese diventerà padre, resta invece in pericolo di vita, una donna di 41 anni che si trova al Galliera.

Mentre negli ospedali i feriti continuano a lottare, tra ieri notte e ieri mattina sotto alle macerie del ponte Morandi sono state recuperate le ultime quattro salme. Considerando che Albert - un turista tedesco che era stato inserito nell'elenco dei dispersi - ha telefonato in prefettura rassicurando tutti, al momento non c'è più nessun nome che manca all'appello. Ma si continuerà comunque a scavare: la Protezione civile ha avvertito che potrebbero esserci altri morti di cui non è stata denunciata la scomparsa, persone senza fissa dimora che avrebbero potuto trovarsi sotto al viadotto.

Identificare le ultime salme è stato particolarmente difficile perché erano all'interno di veicoli che sono stati completamente schiacciati dai piloni. Come la Hyundai della famiglia di Oleggio, in provincia di Novara, per cui le speranze erano ormai ridotte a lumicino. I Vigili del fuoco l'hanno individuata nella notte sotto un grosso blocco di cemento nel greto del torrente Polcevera: dentro c'erano Cristian Cecala, la moglie Dawna Munroe e Kristal, la loro figlioletta di 9 anni. Stavano andando a Livorno, li aspettava lì una zia con cui avrebbero dovuto prendere il traghetto per l'isola d'Elba. Anche loro stavano andando in vacanza. Cristian aveva 43 anni e lavorava nell'impresa edile di famiglia insieme al fratello Antonio, che per giorni li ha cercati in tutti gli ospedali genovesi. Invano. Aveva sposato Dawna, giamaicana della contea di Sheffield, nel febbraio del 2008 e un anno dopo era nata Kristal.

L'auto della famiglia Cecala era stata disseppellita da poco quando Sergio Mattarella si è recato sul luogo della tragedia, prima di presenziare ai funerali di Stato: il presidente si è commosso osservandone i resti straziati. Era ormai troppo tardi per trasportare anche quelle salme in Fiera, dunque le esequie di Cristian, Dawna e Kristal verranno celebrate in forma privata a Oleggio. E più precisamente nella chiesa del Bedisco, dove già ieri il parroco don Claudio Vezzani ha rivolto loro un pensiero durante la messa del sabato.

Proprio mentre si stava concludendo la cerimonia ufficiale è stato infine recuperato l'ultimo corpo. Quello di Mirko Vicini, il 31enne genovese che lavorava per l'azienda municipalizzata dei rifiuti. Sua mamma, Paola, negli ultimi giorni non si era mai allontanata dal punto dove si scavava alla ricerca del figlio. Aveva capito che per lui non c'era più niente da fare ma voleva comunque vederlo: «Non posso abbandonarlo da solo - aveva detto -, finché non lo tirano fuori io non me ne vado di qua». In tanti le sono stati accanto sostenendo la sua disperata ostinazione fino all'ultimo, fino al momento della liberazione più dolorosa.

Mirko era un lavoratore stagionale, aveva firmato un contratto di tre mesi. Martedì mattina aveva appena finito il suo turno di lavoro e stava parcheggiando il mezzo dentro il capannone della Fabbrica Ecologica insieme al collega 57enne Bruno Casagrande. Anche loro sono stati travolti da uno dei piloni crollati: a differenza di chi è precipitato dal ponte loro probabilmente non si sono accorti di nulla, la morte gli è caduta addosso senza dargli il tempo di rendersene conto.

E forse questa è l'unica, minuscola, consolazione.

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