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La missione Ue "Sophia" è ferma al palo

Doveva affrontare i trafficanti di uomini in Libia, ma non ha i permessi

La missione Ue "Sophia" è ferma al palo

Il filmato pubblicato sul sito di Repubblica sembra, a prima vista, assai incoraggiante. «Battaglia in mare tra trafficanti d'uomini e guardia costiera libica», recita il titolo. E le immagini, girate da una motovedetta libica, sembrano confermarlo. Ma quando la telecamera riprende lo scambio di colpi scopriamo che la battaglia non è con un'imbarcazione di trafficanti di uomini, ma con una delle tante navi cisterna impegnate nel contrabbando di diesel e benzina. Traffico diffuso e redditizio, ma ben diverso dalla tratta di uomini. Una tratta che andrebbe combattuta non in mare, dove i criminali si spingono solo per recuperare i motori dei gommoni, ma sulle coste di Zawia, Zuara e Sabrata dove i capi del traffico gestiscono i depositi di disperati e organizzano le partenze.

Questo discorso ci riporta direttamente alle promesse dell'Europa. Rispondendo alle richieste del nostro governo la Commissione di Bruxelles ce ne ha appena regalato un'altra vagonata. Per il momento, però, sarebbe più utile smaltire quelle precedenti. La più inevasa riguarda proprio la lotta ai trafficanti di uomini. Nell'aprile del 2015, all'approvazione della missione navale Eunavfor Med, conosciuta anche come Missione Sophia, la guerra sembrava già vinta. Un giorno sì e un giorno no, l' Alto Commissario per la Politica estera e la Sicurezza Europea Federica Mogherini spiegava come la missione sarebbe arrivata, passo dopo passo, ad operare nelle acque e sulle coste della Libia stroncando la tratta degli umani.

Sono passati più di due anni e le sei unità navali e i sette velivoli al comando dell'ammiraglio italiano Enrico Credendino continuano mestamente a raccogliere naufraghi senza neppure intravvedere quelle coste libiche dove invece scorrazzano i navigli delle organizzazioni umanitarie.

Non fraintendiamo. Nel frattempo l'Ammiraglio Credendino e i suoi non sono stati con le mani in mano. In attesa dell'ordine di raggiungere la Libia hanno salvato 36mila migranti, distrutto 450 imbarcazioni usate dai trafficanti e arrestato più di un centinaio di criminali. Nel frattempo ai loro compiti si è aggiunto anche l'addestramento di quella Guardia Costiera entrata in azione nel filmato di Repubblica.

A non muovere un dito sono stati, invece, Federica Mogherini e la Commissione di Bruxelles. In oltre due anni non hanno neppure avviato l'azione politica indispensabile per consentire agli uomini di Eunavfor Med di dare la caccia ai trafficanti di uomini operando sia all'interno delle acque territoriali, sia sulle coste libiche. Per il passaggio a questa delicata fase sono indispensabili o una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu o un via libera siglato dal governo di Tripoli. A tutt'oggi non sono state costruite neppure le premesse per il raggiungimento di questi delicati passaggi. La risoluzione Onu decisiva è ancora in attesa di venir scritta e presentata. Il premier Fayez Al Serraj sbarcato a Tripoli grazie alla scorta e all'impegno della nostra Marina Militare, ha invece fatto capire a Bruxelles e Roma che non firmerà quell'autorizzazione manco morto.

Difficile dargli torto. Come spiega il rapporto di Credendino presentato all'Unione Europea a fine 2016, il traffico di uomini garantisce alle città costiere della Libia un giro d'affari annuo stimato tra i 275 e i 325 milioni euro. Consentendo ad Eunavfor Med di operare sul proprio territorio l'imbelle e irrilevante Al Serraj commetterebbe un suicidio economico, e probabilmente anche fisico, vista la vendicativa avidità dei contrabbandieri di merce umana.

Nel frattempo la missione è costata, solo all'Italia, oltre 70 milioni fino a giugno del 2016. E ne ha inghiottiti altrettanti, se non di più, nei 12 mesi successivi.

Il tutto, come dimostrano i fatti, senza neppure lambire l'obbiettivo principale.

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