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Il modello socialdemocratico occidentale è finito

Dalla crisi del Ps in Francia a quella dei Labour inglesi, dal ruolo minoritario dei socialisti olandesi alla scissione del Pd in Italia: il modello socialdemocratico è in crisi in tutto l'occidente. Il suo elettorato tradizionale, ormai, è dei populisti

Il modello socialdemocratico occidentale è finito

Il modello socialdemocratico è in crisi in tutta Europa. Benoit Hamon, in Francia, è il candidato all'Eliseo di un Ps devastato dalla gestione del governo Hollande, diviso in mille rivoli, aggredito da sinistra da Mélenchon e da destra dall'operaizzazione del voto del Front National. In Olanda le cose non vanno meglio: ad una settimana dal voto il primo posto sembra essere conteso dal partito populista di Wilders e dal centrodestra tradizionale, il partito socialdemocratico è ridotto ad un ruolo minoritario, per quanto sia più che possibile che finisca dentro un grande governo di coalizione anti Wilders subito dopo l'esito elettorale. In Labour Party della Gran Bretagna, dal canto suo, è uscito completamente spiazzato dal risultato della Brexit e si sta frantumando dentro una crisi che rischia di relegarlo al ruolo di terza forza politica. Il Partito Democratico italiano, infine, il grande sogno di riunire le ragioni popolari a quelle socialdemocratiche si è irrimediabilmente diviso ed a sinistra continuano a proliferare fenomeni macro e micro frutto di scissioni burrascose o di offerte politiche molto diversificate.

Hamon si aggira a pecentuali attorno al 10%, almeno secondo i sondaggi, il partito socialdemocratico olandese deve fare un miracolo per arrivare tra i primi due nonostante sia un attore politico della terra liberal per antonomasia, Corbyn, in Gran Bretagna, vive una quotidiana battaglia parlamentare contro una fronda di progressisti che rivendicano una linea diametralmente opposta a quella che l'ex leader sindacale vorrebbe imprimere ed anche in Italia, quantomeno secondo le previsioni degli analisti, l'unità del centrosinistra è tutto fuorchè scontata in vista delle prossime elezioni politiche.

Il mondo socialdemocratico è in crisi profondissima. Le priorità dell'elettorato di questi partiti, del resto, sono decisamente cambiate: gli operai e gli insegnanti si sono scontrati col mondo globalizzato, le tematiche attuali cavalcate dalle istanze sociali sono divenute l'Ue, il peso dell'apparato burocratico europeo in merito alla sovranità nazionale, le garanzie lavorative, gli spazi sociali dentro un sistema lavorativo più integrativo possibile, la gestione della concorrenza in un mercato completamente privo di confini e così via. Quegli elettori storicamente fedeli alla sinistra progressista europea, insomma, non si sentono più difesi e guardano altrove, spesso e volentieri a quei movimenti ascrivibili genericamente al populismo. Il welfare forte, insomma, non è più un elemento distintivo di qualsivoglia partito socialdemocratico. La parte politica da sempre schieratasi a sostegno dei lavoratori è finita per immergersi dentro priorità come il multiculturalismo, la difesa del neoliberismo, le teorie gender, i diritti civili e la liberalizzazione di alcuni settori commerciali. La Clinton ed Hollande restano i due esempi più esemplificativi. Lontano, molto lontano dalle lotte per lo statuto dei lavoratori, da quelle la scuola pubblica, da quelle per i salari e da tutte le issues che avevano garantito per decenni roccaforti elettorali tra il ceto ed i quartieri popolari alla sinistra di tutta Europa, ma anche negli Stati Uniti.

Oggi le periferie di Londra votano Ukip, la punta dell'esagono rosso francese sta con la Le Pen al 50%, la provincia del Limburgo olandese è schierata con Wilders e tanti tra gli operai italiani finiscono per abbandonare le loro tradizionali modalità di voto: il 39% degli operai voterebbe Movimento 5 Stelle. Il Rust Belt blue americano, tra l'altro, cambia colore e diventa rosso repubblicano. Se il populismo ha successo, d'altro canto, è proprio perchè è riuscito ad infilarsi dentro la dicotomia tra i 'perdenti della globalizzazione', coloro che pretendono un lavoro certo e le frontiere chiuse ed i “vincitori” della globalizzazione, quelli dell'Erasmus, della new economy e della totale desovranizzazione. I toni enfatici dei populisti strigono all'angolo il modello socialdemocratico, con furbizia e modalità certosine, ponendo gli accenti esattamente dove conviene che vengano posti. Per i diseredati della globalizzazione, così come i populisti chiamano i propri elettori, la sinistra radicale continua a rappresentare un'interlocutrice valida, ma il mondo socialdemocratico sembra lentamente scomparire dalle preferenze del mondo operaio, da quello dei colletti bianchi e degli insegnanti. primi, la sinistra radicale come il partito socialista olandese (Sp) è spesso un'alternativa attraente. I social-democratici, in definitva, sono chiamati ad una scelta: non potendo soddisfare entrambi i gruppi, sono costretti a virare verso l'una o l'altra visione del mondo. Che sia tornato d'attualità Marx o che semplicemente i populisti siano straordinariamente scientifici nel cavalcare questa dinamica, rileva poco.

Chiedetelo a Benoit Hamon, in Francia, costretto a lottare per il quarto posto, schiacciato a sinistra e a destra da chi non fa altro che parlare di contrpposizione tra alto e basso, tra popolo ed élite, tra sovranismo ed establishment finanziaria.

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