Politica

Moltiplicheremo idiozie ed orrori grammaticali

di Massimiliano Parente

A differenza di Facebook, Twitter aveva questo di bello, che ogni post era un tweet, ossia un cinguettio, benché un cinguettio più lungo di un cip cip: i classici 140 caratteri, leggermente meno di quelli di un vecchio sms (che oggi non usa più). Tant'è che all'inizio se ne vedevano anche delle belle, per esempio c'era Emilio Fede che non aveva capito fossero messaggi pubblici, e invitava ragazze a cena credendo fossero sms. Comunque sia, la brevità era la forza del nuovo social.

C'è anche da dire che Twitter negli ultimi anni è andato sempre più calando, per la gioia di Zuckerberg, dividendo in due gli utenti: gli sconosciuti, che non si fila nessuno (e che quindi sono propensi a restarsene su Facebook), e le Twitstar (cantanti, attori, giornalisti, politici, fashion blogger, intellettuali, scrittori, Gianluca Vacchi, Selvaggia Lucarelli), più o meno seguite, che comincia a non filarsi più nessuno lo stesso (perché tu le segui ma loro non ti seguono). In sostanza a cosa serve Twitter a un personaggio pubblico? Per lo più a farsi insultare da chiunque. In risultato è che nessuno ha più voglia di cinguettare con nessuno. L'unico ancora convintissimo del mezzo è Donald Trump, che usa Twitter pure per dichiarare guerra alla Corea.

In ogni caso Twitter è stato utile per far venire allo scoperto le carenze grammaticali di molti personaggi, che non sanno mettere 140 caratteri in fila senza commettere errori e strafalcioni, ogni volta dando la colpa al «correttore automatico» (che chissà perché a loro corregge sempre sbagliando). Il primo premio dell'asino grammaticale va a Di Maio, candidato premier dei Cinquestelle, ma pure gli altri politici non è che abbiano fatto figure migliori.

E dunque ecco che, per far fronte alla crisi, Twitter ha pensato di allungare il cinguettio: si potranno scrivere 280 caratteri, il doppio. Non più cip cip, ma cip cip cip cip.

Wow, e ora? Per scrivere cosa? Le stesse stronzate, ma lunghe il doppio, e con il doppio di errori.

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