Cronache

"Mondana, spiritosa insopportabile zia dimenticata dagli Usa"

Il ricordo del nipote Edoardo, che trascorse con lei gli ultimi mesi e cura il suo archivio

"Mondana, spiritosa insopportabile zia dimenticata dagli Usa"

«Molti oggi tendono a fare passare l'Oriana come una donna insopportabile, intrattabile, misogina. Cosa che anche fu. Soprattutto negli ultimi anni di vita non voleva vedere nessuno. In realtà era una donna con un grande senso dell'umorismo, e persino mondana. In America frequentava il bel mondo, e fino a tutti gli anni Ottanta se andavi a casa sua, a New York, ti apriva la porta Robert Redford, o Sean Connery, o la Rossellini, o un politico del Congresso Bei tempi, per lei, allora. Oggi negli Stati Uniti non la ricordano più in tanti, l'Oriana...».

Lui se la ricorda bene, l'Oriana («Dalla quale, pur frequentandola molto, ero sempre terrorizzato, come tutti»). È sua zia, anche se non l'ha mai chiamata «zia» («Figurati, s'incazzava subito Potevo chiamarla solo Oriana»). Lui è Edoardo Perazzi, 50 anni, figlio maggiore di Paola Fallaci, una delle tre sorelle dell'Oriana, nominato erede universale (dopo lunga e stucchevole battaglia legale) e custode dell'archivio della scrittrice fiorentina, morta il 15 settembre del 2006, dieci anni fa esatti.

Dieci anni fa moriva «l'Oriana».

«Gli ultimi tre mesi sono stato vicino a lei 24 ore al giorno. Mi convocò a New York dicendo Sto morendo. Io provai a tranquillizzarla, e lei: No, cretino. Non scherzo. Molla tutto e vieni qui, ho bisogno di te. Andai. Dovevo stare una settimana, poi 15 giorni, poi un mese, poi tre... Aveva ragione. Stava morendo. Lo sapeva lei, lo sapevo io. Fu in quel periodo che si rafforzò il nostro legame. Mi passò le consegne, spiegandomi tutte le cose che dovevo fare dopo... come far uscire i suoi libri, curare le sue carte, come doveva essere ricordata...».

Il suo ultimo ricordo?

«Tanti. Confusi. Si sovrappongono. Forse l'ultima telefonata a Sophia Loren, con la quale era amicissima, ma non mi chieda perché... Forse perché non la intervistò mai... Comunque ero presente all'inizio della telefonata, poi uscii dalla stanza per pudore. Fu quando l'Oriana disse la frase che dopo avrei scoperto aveva già messo in bocca alla Magnani in un suo pezzo: Non è giusto morire dal momento che si è nati».

E il primo, di ricordo?

«Lei che torna a casa da uno di quei viaggi incredibili che faceva in giro per il mondo. Si fermava tre giorni, massimo. Poi, o scoppiava una guerra e se ne andava lei, o scoppiava in uno scatto d'ira lei e te ne andavi tu... Ogni volta però mi portava sempre un regalo. Mi ricordo l'Oriana che venne in Toscana portandosi dietro l'astronauta Jim Lovell, il comandante della missione Apollo 13, e la sua famiglia, nel 1970. L'aveva conosciuto mentre scriveva il reportage sulle missioni spaziali americane, che uscì nel '65 col titolo Se il sole muore. Io avevo 3 o 4 anni».

Il ricordo più bello?

«Per me tanti. Per lei, forse, un giorno in cui la vidi con Alekos Panagulis. Io avevo cinque-sei anni, andammo a incontrarli a Milano. Mia madre mi disse: Comportati bene oggi, andiamo a conoscere un grande eroe greco. E io immaginavo di vedere un gigante, biondo, bellissimo. E invece mi trovai di fronte quest'uomo piccolino, bruttissimo, coi baffoni... Però mi ricordo l'Oriana che rideva, felicissima. Vederla così era insolito, lei era sempre incazzata, torva... Però era incredibile starle vicino. Mi dispiace che non ci sia più, che la gente la ricordi poco, o soltanto per inneggiarla come la profetessa anti-islam oppure per condannarla come un'isterica occidentalista. Invece andrebbe ricordata di più, e in modo diverso».

Come andrebbe ricordata?

«Fino a vent'anni fa a New York facevi fatica anche solo a camminare con lei. La fermavano per strada, le chiedevano autografi... Poi via via si è isolata, ed è andata scomparendo. Fino a quando, dopo i suoi scritti sull'11 settembre, c'è stata la reazione degli intellettuali americani, e non solo. Non dico sia stata ostracizzata, però... Diciamo che il suo fervore non è stato apprezzato come si doveva. A parte un biglietto di ringraziamento di Rudolph Giuliani, il sindaco di New York, non mi ricordo un grazie da parte dell'America, dico dell'America dei liberal. Oggi l'Oriana negli Stati Uniti non è più ricordata, non la traducono più. Il suo ultimo libro, Un cappello pieno di ciliegie, lo puoi leggere in tante lingue, ma non in inglese. Ecco il mio obiettivo oggi è riportare in giro per il mondo il suo nome e i suoi libri».

Che cosa c'è ancora da scoprire nella carte della Fallaci?

«Tanto. Ho lasciato il mio lavoro sono stato a lungo nella comunicazione nella moda per occuparmene. Solo per archiviare tutto il suo lavoro per l'Europeo ci ho messo due anni. L'Oriana era di origine contadina, e quindi non buttava via nulla. Teneva ogni cosa: copie, minuti, appunti, nastri registrati... Ci sono ancora testi inediti, alcuni finiti, altri solo abbozzati».

Ad esempio?

«Mah, non so... Ecco: doveva essere intervistata da una tv americana? Bene, l'Oriana era così maniacale che si preparava un testo scritto, che poi rivedeva e correggeva, e poi, finita l'intervista, conservava tra le sue carte. Ecco questa è una cosa nuova. Poi c'è il materiale accumulato per le sue di interviste: prima di incontrare il personaggio di cui doveva scrivere, faceva moltissime ricerche, preparava domande scritte, poi annotava tutto sui suoi taccuini, e intanto registrava la conversazione, poi trascriveva tutto e dico tutto: ogni frase detta e alla fine costruiva l'intervista tagliando e riscrivendo. Immaginate quanto materiale s è accumulato negli anni. E poi solo per l'Europeo, dagli anni 50 in avanti scrisse 900 articoli. Moltissimi mai più ripubblicati. Le dico solo che nel '54 sul confine dell'Ungheria, in cui non riusciva entrare, scrisse un reportage sui profughi da paura. Sembra scritto oggi. Oppure c'è un'intervista degli anni '70 a Marcello Mastroianni uscita solo una volta sull'Europeo, e poi basta. L'Oriana la escluse anche dalla raccolta Gli Antipatici. Forse perché lo considerava ancora più che antipatico, insopportabile, chessò...».

E la storia del carteggio con Montanelli?

«È una bella storia. Lei e Montanelli, che si erano scannati senza rivolgersi più la parola, a un certo punto furono convinti dalla loro stessa casa editrice, la Rizzoli, a scrivere insieme un libro sull'Italia e gli italiani. Siamo nei primi anni '70. L'idea è che i due giornalisti si parlino a distanza, con delle lettere botta-risposta. Solo che fin dalla prima lettera i due iniziano a litigare, la tensione si alza e nel giro di poco finisce tutto malissimo e il progetto salta. Ma ci restano 5-6 lettere di quella chiacchierata... Inedite. Io e l'erede di Montanelli, Letizia Moizzi, stiamo pensando di pubblicarle in un libricino. Potrebbe essere divertente...

».

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