Mondo

Rivolte e rischi nucleari. Dieci sfide per il 2019

L'Ue a pezzi e il voto, l'ombra della crisi economica, l'ipotesi del riarmo e il Medioriente

Rivolte e rischi nucleari. Dieci sfide per il 2019

«L'anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va». Lucio Dalla lo cantava all'inizio del 1979. Quarant'anni dopo è dura trovare qualcosa che ancora vada. L'ordine mondiale impostosi dopo il 1945 si è dissolto, l'America è lontana e la Cina è onnipresente, mentre l'Europa è a pezzi e l'Italia, lacerata dalle lotte interne, stenta a recuperare una dimensione politica ed economica. Ma il tempo stringe. Il nostro Paese nei prossimi dodici mesi dovrà guardare non solo al proprio ombelico, ma anche a dieci grandi crisi che incombono e minacciano di trasformare il 2019 in un annus horribilis.

La più immediata geograficamente e temporalmente è il voto per il parlamento europeo di fine maggio. L'Europa ci arriva ridotta al lumicino e priva di leader riconosciuti. Quelli fin qui unanimemente acclamati sono o sull'orlo del pensionamento come Angela Merkel o del fallimento come Emmanuel Macron. E l'Italia, presunta capofila del nuovo schieramento sovranista, populista o, più semplicemente, euroscettico non sembra un grande condottiero. Il primo governo nato dalla simbiosi di due movimenti anti-Ue s'è incaponito nel sostenere una manovra economica impossibile riuscendo a farsi voltare le spalle sia dai vecchi burocrati di Bruxelles sia dai nuovi presunti alleati come l'Ungheria di Viktor Orban o l'Austria del Cancelliere Sebastian Kurtz. In tutto questo la prospettiva, assai grama, è quella di ritrovarsi con un Ue governata da quanto resta delle vecchie forze ma, al tempo stesso, resa instabile da un branco di formazioni euroscettiche prive di linea comune e pronte ad azzannarsi tra loro. In quest'assenza di leader e forze politiche riconosciute il rischio di rivolte improvvise e ingestibili come quella dei «gilet gialli» è quanto mai presente.

Ma un'Italia isolata e sganciata da un solido sistema di alleanze giocherà una partita sempre più difficile anche in una Libia cardine dei nostri interessi geopolitici. Per controllare l'irresistibile ascesa del generale Haftar non bastano un paio di trasferte e i corteggiamenti del premier Conte, ma bisogna offrirgli visioni politiche e soluzioni alla crisi libica che vadano al di là dei piani Onu e ci facciano apparire indispensabili quanto Mosca e Parigi. Il tutto mentre gli Usa, a cui ci siamo affidati per 70 anni, si ritira nel suo guscio e lascia Italia ed Europa destreggiarsi da sole tra Russia e Cina. Sul fronte russo la minaccia è quella di un'escalation del conflitto con l'Ucraina.

L'Unione che nel 2014 appoggiò apertamente le forze anti-russe sembra ben lontana dal garantire a Kiev un pieno accesso alla economia. L'Ucraina è, invece, alla ricerca di pericolosi pretesti per garantirsi l'appoggio di Nato e Usa. Pretesti che minacciano, sulla falsariga di quanto successo con la Georgia nel 2008, di portarla allo scontro frontale con Mosca.

Su un fronte più globale la Cina procede inarrestabile nella sua manovra di espansione che punta all'egemonia, anche militare, sui grandi assi del commercio terrestre e marittimo e all'egemonizzazione delle materie prime del continente africano attraverso una spietata politica neocolonialista. Su questo terreno lo scontro con l'America rischia di arrivare alle estreme conseguenze. E lo dimostra la politica di riarmo nucleare avviata da Washington. Una politica incentrata non tanto a contenere la potenza russa, ma, piuttosto, quella militarmente assai più aggressiva di Pechino. In Medioriente l'Europa deve urgentemente rilanciare un dialogo con Teheran e riavviare i piani sul nucleare bruscamente cancellati dall'Amministrazione Trump.

In questo scenario caotico resta problematico il processo di pacificazione di una Siria dove la sconfitta degli jihadisti e il contenimento della Turchia per mano di Mosca sembrano cosa fatta. Per riuscire a far rientrare 5 milioni di profughi è indispensabile avviare una ricostruzione del costo di 350 miliardi di dollari. Una ricostruzione in cui l'Italia, secondo partner commerciale di Damasco ante-guerra, può tornare a svolgere un ruolo importante. Ma per persuadere i paesi occidentali a parteciparvi Mosca deve prima convincere Damasco ad accettare un piano di riforme per il dopo Assad.

Il tutto mentre l'Italia del 2019 dovrà sforzarsi di capire che il mondo non l'aspetta.

Commenti