Politica

Morì per l'uranio impoverito, lo Stato condannato a pagare

Matteo Basile

Lo Stato sapeva ma non ha fatto nulla. Conosceva i rischi relativi alla presenza di uranio impoverito negli armamenti a cui i soldati erano esposti ma non ha avvisato né tutelato in alcun modo i militari. Per questo motivo il ministero della Difesa è stato condannato in secondo grado dalla Corte d'Appello a risarcire con quasi 2 milioni di euro la famiglia di Salvatore Vacca, caporalmaggiore della brigata Sassari, morto a 23 anni di leucemia linfoblastica acuta. Vacca, scomparso nel settembre 1999 è stato esposto a munizioni all'uranio impoverito durante la missione italiana in Bosnia nel 1998 e nel 1999.

Si tratta di una sentenza storica. Non perché sia il primo caso in cui un militare o la sua famiglia viene risarcito per le conseguenze dell'esposizione all'uranio impoverito. Ma perché per la prima volta viene evidenziata la colpa specifica dello Stato. Tutti sapevano dei rischi che i soldati correvano. Tutti, tranne loro, che nessuno aveva informato né tantomeno preparato per evitare esposizioni fatali. Nella sentenza infatti, i giudici evidenziano «la condotta omissiva di natura colposa dell'Amministrazione della Difesa» e il «comportamento colposo dell'autorità militare per non aver pianificato e valutato bene gli elementi di rischio».

Si tratta della quarantasettesima sentenza di risarcimento ai danni dello Stato. La prima così esplicita. «È stato un crescendo di presa d'atto da parte della magistratura che oggi ha emesso questa sentenza unica in Europa che potrebbe chiudere definitivamente il caso uranio impoverito», spiega in una nota l'Osservatorio Militare sull'uranio impoverito. Sembra infatti ormai caduto ogni velo sul rapporto diretto di causa effetto tra l'esposizione all'uranio impoverito e le neoplasie che hanno colpito molti nostri soldati. In 333 hanno perso la vita, 3.600 sono quelli che hanno contratto malattie gravissime.

Il caporalmaggiore Vacca è stato in Bosnia per 150 giorni come pilota di mezzi cingolati e blindati trasportando munizioni sequestrate, materiale che, scrivono i magistrati, si sarebbe dovuto considerare «come ad alto rischio di inquinamento da sostanze tossiche». Già durante la missione Vacca aveva accusato un malore ed era tornato in patria, dove gli è stata diagnosticata la terribile malattia. Da quel giorno la madre Giuseppina ha cominciato una battaglia legale che ieri ha avuto il suo epilogo.

La sentenza arriva alla vigilia dell'audizione in commissione d'inchiesta del Ministro Pinotti prevista per giovedì, nel corso della quale non si potrà fare a meno di tenere conto di quanto emerso ieri. Ma intanto spunta un'altra questione. Il ministero, infatti, secondo le denunce dello stesso Osservatorio, non ha alcuna fretta di pagare, anzi. «Pagano con moltissimo ritardo. È una forma di arroganza e una mancanza di rispetto», denuncia l'avvocato Domenico Leggiero, sollevando un ulteriore questione. «Ci sono sentenze esecutive da mesi eppure il ministero non paga e magari si appella con motivazioni tecniche assurde finendo sempre col perdere.

Questo comporta il pagamento di interessi e spese processuali che arrivano a sfiorare i 100mila euro a caso, intasando tra l'altro inutilmente le aule giudiziarie».

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