Cronache

Morta dopo l'aborto, 12 medici indagati per omicidio plurimo

Il primario: «Non c'entra nulla l'obiezione di coscienza». Il ministero apre un'inchiesta

Morta dopo l'aborto, 12 medici indagati per omicidio plurimo

Sarà la commissione inviata dal ministero della Salute all'ospedale «Cannizzaro» di Catania (due ispettori, un Nas e due tecnici della Regione siciliana) a fare luce sulle cause della morte della 32enne Valentina Milluzzo, di Palagonia (Catania), giunta alla 19esima settimana di gravidanza procurata con la procreazione assistita in un'altra struttura, e dei suoi due gemellini. La procura di Catania ha aperto un'inchiesta a seguito dell'esposto dell'avvocato della famiglia, ma frena sulla pesante denuncia che collega il decesso all'obiezione di coscienza del medico di turno che si sarebbe rifiutato di intervenire.

Dai primi esami sulla cartella clinica, posta sotto sequestro, le accuse dei familiari non troverebbero riscontro. Il direttore generale dell'Azienda ospedaliera «Cannizzaro», dottor Angelo Pellicanò, e il professor Paolo Scollo, direttore di Ginecologia e Ostetricia, e presidente Sigo, Società italiana Ginecologia e Ostetricia ricostruiscono quanto accaduto per cercare di fare chiarezza, e si affidano alle conclusioni che saranno tratte dagli ispettori ministeriali, dalla procura, che ha affidato l'indagine alla polizia di Stato, dai periti che saranno nominati. Dice Scollo: «Quando c'è bisogno di un intervento urgente per un caso come quella della paziente si interviene e basta. Non c'entra niente essere obiettori». Intanto anche l'ospedale ha ha aperto un'inchiesta interna e il ministro della Sanità invierà gli ispettori.. «Sarebbe eclatante da sfiorare l'assurdo se si fosse verificato quanto denunciato dice Pellicanò -. Sarebbe un fatto di una gravità estrema». Poi puntualizza come «il medico obiettore lo è ai fini della legge 194/78 inerente l'interruzione volontaria della gravidanza. Ma nel caso in questione si trattava di un'interruzione fisiologica, dettata dal quadro clinico della paziente».

Valentina va in ospedale il 29 settembre perché ha minacce di aborto. Il collo dell'utero è aperto e viene sottoposta a terapia antibiotica e ricoverata in Ginecologia e Ostetricia. Nella tarda mattinata del 15 ottobre ha la febbre. Le viene somministrato un antipiretico ed è trasportata in sala parto dove è sottoposta a una serie di analisi.

«Durante il passaggio di guardia delle 20 dice Scollo restano entrambi i medici perché c'è un sospetto di infezione grave con ipotermia. La paziente è sottoposta al test della procalcitonina che attesta un'infezione in corso. I valori sono alti». Sono le 23.30. Il primo feto viene abortito spontaneamente. Il quadro clinico di Valentina precipita. I parametri di coagulazione si alterano.

«A questo punto ricostruisce Scollo il medico induce il secondo parto con l'ossitocina. È la prova che non sia stata applicata l'obiezione di coscienza in un caso che peraltro non lo prevede».

L'aborto avviene all'1.40 del 16 ottobre. Per l'Azienda ospedaliera «il medico ha operato secondo procedure standard condivise dal mondo scientifico che fa prevenzione e cura di sepsi gravi. Non si sarebbe potuta effettuare un'isterotomia perché il sangue non sarebbe coagulato». I medici parlano di Cid, la coagulazione intravascolare disseminata, e di sepsi con crisi emorragica. Valentina, ricoverata in Rianimazione, morirà alle 13.45 del 16 ottobre.

Medici e assistenti in servizio quel giorno (in tutto 12 sanitari) sono stati iscritti sul registro degli indagati, come atto, dovuto per consentire l'autopsia disposta dalla Procura: contestato il reato di omicidio plurimo colposo.

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