Gerusalemme capitale

La mossa Usa: tagliare i fondi all'Anp

Via i contributi se i palestinesi stipendieranno i terroristi

Ismail Haniyeh, leader di Hamas, e Abu Mazen, erede di Arafat alla guida di Fatah
Ismail Haniyeh, leader di Hamas, e Abu Mazen, erede di Arafat alla guida di Fatah

Vogliamo capire che cosa sta facendo Donald Trump, invece di esercitarci nel popolare gioco del panico e del disprezzo? «Quando sono stato eletto ho promesso di guardare alle sfide del mondo con gli occhi aperti e un modo di pensare fresco. Non possiamo risolvere i problemi con gli stessi concetti falliti del passato o ripetere le stesse strategie fallite... Il mio annuncio marca l'inizio di un nuovo approccio al conflitto fra Israele e i palestinesi». Così ha detto riconoscendo Gerusalemme capitale d'Israele: «Un nuovo approccio». Fatto di cosa? Molti hanno ignorato queste parole e hanno preferito decidere che Trump è il solito oggetto di dileggio. Fra questi i leader europei, che non vogliono capire che il loro ruolo di mallevadori della pace sarebbe esaltato dall'acquisizione del fatto che così non si va da nessuna parte.

Il primo tema è stato quello della verità: Israele è in Medioriente per restare, gli ebrei non sono polacchi o marocchini capitati per caso in zona (me lo sono sentito ripetere durante una trasmissione radio da un ufficiale palestinese) ma figli del popolo indigeno che ha sempre avuto Gerusalemme capitale.

Ma l'altro punto basilare che si deve capire è: non sarà il terrorismo a fornire la vittoria. Questi due pilastri fondamentali, identità e rifiuto del terrorismo, sono il lavoro intrapreso dall'amministrazione americana. Martedì scorso la Camera ha votato a grandissima maggioranza il Taylor Force Act che prende il nome dal cittadino americano pugnalato a morte da un terrorista palestinese a Tel Aviv. Quando la legge passerà in Senato gli americani taglieranno gran parte dei 280 milioni di dollari l'anno che donano all'Autorità palestinese a meno che smetta di pagare lo stipendio ai terroristi in galera e alle loro famiglie. In un bel saggio edito dal Jerusalem Center for Public Affairs il generale Yossi Kuperwasser ha misurato l'impegno economico della Anp nel sostenere il terrore. Nel 2014 ha pagato circa 300 milioni di dollari ai prigionieri continuando a sussidiarli quando vengono rilasciati e a pagare le famiglie di chi è morto durante l'attentato, magari suicida. È il 20% di tutto l'aiuto annuale. Chi è condannato a 3 anni o meno prende 340 euro, fino a 20 anni 1.700 euro, fino a 30 anni 2.900 euro. Quando si è rilasciati si portano a casa dai 1.271 ai 21.260 euro, per ricominciare. Più grande l'attacco, più sono i soldi che l'Autorità di Abu Mazen dà ai terroristi, più di 30mila in totale. Il Taylor Act taglia i fondi nel caso i palestinesi non cessino dalla pratica di incentivare il terrorismo. Naturalmente a lato di questo sorge il grandissimo palazzo dell'incitamento sui media, nelle scuole, nelle istituzioni e degli eventi che prendono il nome dei terroristi tappezzate dei ritratti dei «martiri». È un castello gigantesco: la cultura palestinese l'ha costruito accanto alla rivendicazione dei suoi diritti, mentre la condivisione con Israele non è mai stata portata a buon fine nemmeno di fronte alle offerte più convenienti, a Camp David come ad Annapolis.

Il terrorismo dei palestinesi, impugnato da Arafat come un'arma che ha poi fatto scuola in tutto il mondo, costellato di eventi mostruosi come Entebbe, Monaco, Lod e Fiumicino, il Park Hotel, i rapimenti e la schiera di attacchi suicidi della seconda Intifada, il bombardamento di missili da Gaza, non è mai stato preso in considerazione come una variante capace di mandare all'aria qualsiasi «due stati per due popoli». Adesso Trump se ne sta occupando.

Dall'Europa nessun segno di vita, anche se i suoi finanziamenti non sono da meno.

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