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I dissidenti del Pd affilano le armi: pronti alla guerra sull'Italicum

La fronda interna al Pd avverte il premier: quella sul nuovo Senato è una vittoria di Pirro, contro la legge elettorale saremo molti di più. E adesso i tempi dell'Aula si allungano

I dissidenti del Pd affilano le armi: pronti alla guerra sull'Italicum

Roma - Incassato, con perfetto rispetto dei tempi, il primo faticosissimo sì alla riforma del Senato, per Matteo Renzi si apre il «secondo round», come lo chiama il leghista Calderoli. E sarà un round tutt'altro che facile. «La festa è finita, Renzi deve tornare alla realtà», giubila Corradino Mineo. «È stata una vittoria di Pirro», preconizza minaccioso Massimo Mucchetti.

Mentre il treno della riforma del Senato riparte da Montecitorio, dove - visti anche i numeri del Pd - dovrebbe viaggiare più serenamente, Boldrini permettendo, a Palazzo Madama si apre a settembre la partita dell'Italicum. Nella quale molti cercheranno la rivalsa sul premier, a cominciare dai suoi compagni di partito. Il fronte dei quindici dissidenti del Senato si è prontamente allargato dopo il voto: «Sulla legge elettorale non siamo solo noi a dire no, saremo molti di più - promette Felice Casson - invece che inseguire Verdini, Renzi dovrebbe cercare un consenso ampio nel Pd, e poi anche nella sua maggioranza». L'obiettivo è chiaro: usare la frattura che separa gli interessi di Ncd da quelli di Forza Italia su soglie e preferenze per ostacolare il cammino dell'Italicum. I numeri del governo in Senato sono fragili, i voti berlusconiani sono stati determinanti per ottenere la maggioranza assoluta sulla riforma, e in autunno Renzi deve poter contare su una coalizione compatta per affrontare i nodi cruciali dell'economia, a cominciare dal Def. «Sulla legge elettorale è consigliabile avere un forte accordo di maggioranza, dentro il Pd e poi con Alfano, se no si creano fibrillazioni pericolose su tutto il resto», avverte il bersaniano Miguel Gotor. «Se si cerca di fare l'Italicum con gli stessi numeri della riforma del Senato si rischia di non avere Ncd e di perdere un altro pezzo di Pd».

La legge elettorale è un'arma preziosa per Renzi: finché resta in vigore il pasticcio proporzionale cucinato dalla Corte, il cosiddetto Consultellum, il suo potere contrattuale verso la maggioranza e verso il suo stesso partito è dimezzato. Quindi più tardi gliela si consegna meglio è, per i suoi avversari anche interni. Lo stesso Pier Luigi Bersani ha esplicitamente frenato: «A settembre ci troveremo con la legge costituzionale alla Camera e quella elettorale al Senato, ma bisogna invertire le cose: per un paio di mesi ci dovremmo occupare solo della crisi economica, il resto viene dopo».

Fatto sta che l'Italicum, che doveva essere il primo punto all'ordine del giorno della commissione Affari costituzionali del Senato a settembre, è già slittato al secondo posto: prima si affronterà il ddl sulla Pubblica amministrazione. L'input però sarebbe arrivato dal governo stesso, e un renziano dell'esecutivo la spiega così: «Chi, anche nel Pd, pensa di giocare a fregare Renzi usando il “patto del Nazareno” contro di lui fa male i conti: il premier terrà aperto il tavolo della trattativa sull'Italicum finché serve, usandola come bastone e carota per far passare le altre riforme che gli stanno a cuore, dall'economia al lavoro alla giustizia». Non a caso, come nota anche Gotor, «delle decisioni prese nell'incontro di Palazzo Chigi con Berlusconi non sappiamo niente», nulla di sostanziale è trapelato sulle possibili mediazioni sulle soglie del 4,5% e dell'8% che i piccoli partiti, da Sel a Ncd, premono per abbassare; né sulla disponibilità a mitigare le liste bloccate. Se non l'avvertimento di Denis Verdini secondo il quale «per noi la prima versione dell'Italicum resta la migliore, e da lì non ci muoviamo». Il che lascia il pallino della trattativa tutto nelle mani di Renzi e Berlusconi.

Con la minoranza Pd a protestare: «Il Pd non può accettare veti da Verdini», dice Stefano Fassina.

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