Politica

La movida romagnola dice addio al «Cocoricò»

Travolta da debiti e scandali fallisce la discoteca più famosa della riviera. Ma le altre volano

Vanni Zagnoli

É il tramonto di un mito, simbolo del divertimentificio della Romagna e dell'Italia che fa l'alba, scatenandosi per ore, a più non posso. Fallisce il Cocoricò, la discoteca più famosa della riviera, a piramide, simboleggiata da creazioni geometriche anche all'interno, negli spettacoli a cui avevamo assistito passando per caso, per il trentennale. Luccicavano i corpi di una giovane, che non voleva essere inquadrata dalla nostra telecamera, e anche di un muscolato, arrivato da Venezia. Erano felici, all'ingresso, con vestiti simil Rockets, il popolare gruppo degli anni '80, quasi marziani.

E anche la notizia del fallimento del Cocoricò è come arrivasse da Marte, perchè le discoteche all'aperto anche in Emilia fanno il pieno d'estate, sino alle 5 e non solo in riviera. Il pienone è assicurato ovunque, a prescindere, con bellissime sgallettanti e bei fisicati, che lavorano per i locali o pagano anche solo 10 euro da clienti. Musica assordante e show, all'aperto da maggio a settembre, al chiuso per il resto.

Martedì 4, il tribunale di Rimini respinge la domanda di concordato presentata il 23 gennaio, tre giorni fa la sentenza: la Cocoricò srl è fallita, il 25 ottobre si terrà la prima udienza, con la costituzione dei creditori, capeggiati dall'agenzia delle entrate; Equitalia si è mossa per il mancato versamento di imposte. Negli anni '90, con la famiglia Palazzi, questa disco divenne la numero 7 d'Europa, i guai si acuirono nel 2015, con la morte per overdose del 16enne Lamberto Lucciconi: su disposizione del questore Maurizio Improta, restò chiusa per settimane. Accade spesso che una fatalità apra il pentolone delle trasgressioni. Mentre a migliaia bevono alcolici, ballano e seducono, i soci si appartano (accade anche in lapdance o night, in locali per scambisti o feste dell'unità), per dividersi i soldi, pagare chi fa serata in contanti e aggirare le leggi, per guadagnarci il più possibile. Da inizio decennio, il Cocoricò non pagava le tasse, all'erario e al Comune di Riccione, la guardia di finanza appurò l'evasione di Iva dal 2012. Poi i De Meis, famiglia proprietaria laziale, non pagò il pattuito ad artisti, il dj Graby Ponte ottenne il sequestro dei marchi Titilla e Memorabilia, tramite la sua società di produzione Danceandlove, di Torino, per un credito di 200mila euro. E lì Fabrizio, De Meis junior, amministratore della società che gestiva il Cocoricò, imputò il ritardo dei pagamenti alla chiusura per la morte del giovane.

Dall'autunno scorso, sono finiti all'asta i loghi di Cocoricò, Titilla e Memorabilia, per 423mila e 500 euro, spese accessorie escluse, secondo la procedura dei tribunali di Perugia, Terni e Spoleto. Intanto il Comune mise i sigilli alla disco per il mancato pagamento della Tari.

A gennaio, il tribunale di Rimini dispose il sequestro preventivo per 810mila euro, congelati dalla Gdf di Rimini, per le imposte evase, in base agli accertamenti dell'anno scorso, sui movimenti nel 2015 e '16 dalla Mani Avanti srl, gestrice del locale dal nome profetico. Il pm Paolo Gengarelli e il gip Benedetta Vitolo hanno arrestato questo ballo di reati fiscali, complici frequenti cambi di società. Fabrizio De Meis aveva presentato un piano di rapida ristrutturazione del debito, convinto di riaprire per l'estate. Non gli hanno dato fiducia. L'ultima serata al Cocoricò è stata a Capodanno, arrivò gente anche dall'estero e solo un pagamento della tassa sui rifiuti a ridosso permise di non far saltare l'evento.

Peccato che i De Meis non ci rispondano al telefono, chissà come hanno fatto a uscire di strada con questa macchina da soldi.

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