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Mps, assolti gli ex vertici. "Bankitalia sapeva tutto"

La sentenza d'Appello riabilita Mussari, Vigni e Baldassarri: «Corretti su Nomura e Alexandria»

Mps, assolti gli ex vertici. "Bankitalia sapeva tutto"

Un disastro senza colpevoli: o con troppi colpevoli, che è poi la stessa cosa. Il rischio che la incredibile vicenda del Monte dei Paschi di Siena passi alla storia giudiziaria senza una sola condanna diventa palpabile da ieri, quando la Corte d'Appello di Firenze pronuncia la sentenza che manda assolti i tre uomini che stavano alla testa di Rocca Salimbeni negli anni dello schianto: Giuseppe Mussari, ex presidente, il suo direttore generale Antonio Vigni e il direttore dell'area finanza Gianluca Baldassarri. In primo grado erano stati condannati a tre anni e mezzo, in appello la Procura generale aveva chiesto che la pena venisse raddoppiata per Mussari e sensibilmente aumentata per gli altri. Invece dopo una breve camera di consiglio i giudici assolvono tutti: «Il fatto non sussiste». Nulla, delle operazioni spericolate con la banca giapponese Nomura, venne tenuto nascosto alla Banca d'Italia: questo il senso della sentenza. È una sentenza che non risulterà gradita a Bankitalia, soprattutto in un momento in cui le modalità del suo esercizio delle funzioni di vigilanza è sotto tiro da parte dei vertici del Pd. Una polemica che oggi viene oggettivamente rafforzata dalla sentenza dei giudici fiorentini.

Al centro del processo, con l'imputazione di ostacolo alla vigilanza, c'era l'accusa di avere tenuto nascosto agli ispettori della Banca d'Italia gli accordi stretti da Mps con la banca giapponese Nomura per mettere una pezza alle voragini contabili create da Alexandria, il derivato varato dal glorioso istituto senese con risultati disastrosi, un buco di 220 milioni. Secondo le indagini della Guardia di finanza, fatte proprie dalla sentenza di primo grado, il documento che raccontava l'accordo con i giapponesi era stato tenuto chiuso nella cassaforte di Vigni, impedendo agli uomini di via Nazionale di conoscere l'esistenza del piano di ristrutturazione del debito, all'insegna di quel clima di «opacità» evocato anche nella requisitoria del processo di secondo grado dalla requisitoria della procura generale. Invece la Corte d'appello accoglie in pieno la linea delle difese, che in aula hanno sostenuto esattamente il contrario: Banca d'Italia sapeva tutto, non solo perché il documento (il cosiddetto «mandate agreeement») chiuso in cassaforte era stato prima scannerizzato, protocollato e inserito nel sistema informatico di Montepaschi, ma perché una versione ancora più dettagliata, il «deed of amendment» venne messo a loro disposizione: «Non ci fu nessun occultamento di perdite e, di conseguenza, nessun ostacolo alla vigilanza», ha spiegato il professor Tullio Padovani, difensore di Mussari; «L'accordo con Nomura è noto a più persone, il suo contenuto è risaputo, ci sono mail dove viene citato, è accessibile, aveva aggiunto Franco Coppi, difensore di Vigni. La Corte d'appello di Firenze si dichiara d'accordo.

L'assoluzione in appello di Mussari & C.

arriva all'indomani di un'altra notizia dello stesso segno, la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura milanese dell'indagine per lo stesso reato - ostacolo alla vigilanza - che era stata aperta nei confronti di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, i manager succeduti a Mussari nella gestione di Rocca Salimbeni.

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