Cronache

Muore d'infarto un angelo del terremoto

Andrea, speleologo, dirigeva i soccorsi nell'Abruzzo piegato dall'emergenza

Muore d'infarto un angelo del terremoto

Andrea aveva trentanove anni. Se l'è portato via una saetta di Giove, così stava scritto sui libri di storia quando nessuno voleva spiegare, a noi scolari, che cosa fosse l'infarto, il colpo al cuore, un fulmine, appunto, che squarcia la vita degli uomini. Andrea Pietrolungo era fresco e bello di aspetto, forte di fisico, la barba incorniciava il volto sorridente, era il capostazione delle Forre Abruzzo, non c'entrano le ferrovie e i treni; il soccorso alpino si divide in stazioni, in Abruzzo ce ne sono otto e Andrea era il capo delle Forre Abruzzo. Andrea scendeva nel buio e nella pancia di montagne cattive, scopriva antri sconosciuti, toglieva il segreto a grotte profonde, impreviste. Erano impreviste anche le macerie del terremoto, tane della morte, il tempo maligno, nel teramano, ha lasciato devastazione dovunque, Andrea scavava, non ascoltando il silenzio del vuoto ma il lamento disperato, e scorgeva mani bianche di polvere, corpi straziati, asciugando lacrime di dolore e di sofferenza. Il tempo, di fronte alla tragedia, perde qualunque significato. Non c'erano giorni e non c'erano notti per Andrea, volontario del corpo nazionale di soccorso alpino, soldati di un esercito che non va alla guerra, non ha nemici, non usa armi se non quelle della speranza, nella lotta per salvare la vita. L'Abruzzo sembra diventato il confine di queste vite, la terra ultima, segnata dal destino che sta ingannando tutti, interrompendo le preghiere, stracciando qualunque progetto di rinascita. Chi può spiegare a Silvana e a Rocco, madre e padre di Andrea, a che cosa siano serviti quei giorni, dedicati dal loro figlio, a salvare esistenze sconosciute, quando Dio, all'ultima alba di gennaio, ha voluto dimenticarsi pure di quel ragazzo con la barba e il sorriso? Andrea non era un eroe, didascalia di uso comune per definire un atto di coraggio unico. Andrea è stato un uomo che ha fatto il proprio dovere, vivendo anche per gli altri, impresa questa, rarissima, oggi, se non nei suoi aspetti spettacolari, televisivi e, dunque, volgari. Andrea era un uomo come gli altri uccisi, finiti, sfiniti dalle scosse della terra, dalla valanga, dallo tsunami, dalle malattie precoci e feroci, dall'improvviso buio che non trova mai una spiegazione a chi resta, attonito, disarmato ad osservare. E, dopo, ogni volta, alziamo lo sguardo al cielo, alla ricerca di un segnale, di una risposta. La misericordia. Dunque la com-passione, l'unione nello sconforto. La fede. Una luce chiara che illumina la disperazione.

Ma così deve essere stata quella saetta che si è infilata nel corpo di Andrea raggiungendo il cuore, uccidendo un'altra vita di questa terra d'Abruzzo, benedetta da Dio fino all'attimo in cui questo stesso Dio non ha deciso di dimenticarla, quasi punendola. Si attendono altre albe, altre risposte, altri silenzi.

«La Morte è qui, e la Morte è là: da per tutto la Morte è all'opera: intorno a noi, in noi, sopra di noi, sotto di noi è la Morte e noi non siamo che Morte.da prima muoiono i nostri piaceri e quindi le nostre speranze e quindi i nostri timori: e quando tutto ciò è morto, la polvere chiama la polvere e noi anche moriamo».

Da «Il Piacere», Gabriele D'Annunzio, scrittore d'Abruzzo.

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