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"Né colpevole né innocente". Il caso Cappato alla Consulta

Sull'aiuto al suicidio del radicale e il diritto di scegliere di morire di Fabo si esprimerà la Corte costituzionale

"Né colpevole né innocente". Il caso Cappato alla Consulta

Cristina Bassi

Milano La Corte d'assise di Milano non assolve né condanna Marco Cappato, ma decide di andare oltre. E di sollevare la questione dell'aiuto al suicidio e del diritto a scegliere di morire davanti alla Corte costituzionale.

Ieri era attesa la sentenza del processo al tesoriere dell'Associazione Coscioni, accusato di aiuto al suicidio per aver accompagnato Dj Fabo a morire in una clinica svizzera nel febbraio dello scorso anno. La decisione del collegio guidato dal giudice Ilio Mannucci Pacini, che ha trasmesso gli atti alla Consulta, sospende il procedimento a carico di Cappato. Ed è storica. La chiamata in causa della Corte costituzionale era la via più auspicabile sia per l'imputato, che aveva fatto del proprio caso una battaglia politica e per i diritti, sia per il pm Sara Arduini e l'aggiunto Tiziana Siciliano, che pur rappresentando la Procura avevano chiesto l'assoluzione. Il giudice ha letto già ieri le motivazioni della decisione in un'aula pienissima e ammutolita.

La Corte chiede che venga verificata la legittimità costituzionale dell'articolo 580 del Codice penale - che risale al 1930 - nella parte in cui punisce l'aiuto al suicidio. Perché secondo i giudici milanesi è «in contrasto» con «la libertà di decidere quando e come morire» sancito dalla Costituzione (in particolare dagli articoli 2 e 13) e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (articoli 2 e 8). «Fabiano - spiega il presidente del collegio che spesso chiama Dj Fabo con il nome di battesimo - aveva espresso la ferma volontà di morire». Continua Mannucci: è emerso poi che Cappato ha conosciuto Fabiano Antoniani, rimasto tetraplegico e cieco in seguito a un incidente stradale, dopo che quest'ultimo aveva già deciso di ricorrere al suicidio assistito. Una intenzione, la sua, «irrevocabile». Cappato quindi va assolto riguardo all'ipotesi che abbia condizionato o «rafforzato» il proposito di Fabo. Quella dell'imputato non è stata un'istigazione al suicidio.

Tornando all'agevolazione, di cui invece l'esponente radicale sarebbe colpevole, i giudici citano una sentenza della Cassazione del 2017 sul caso Englaro. «Dalla Costituzione - dichiarava la Suprema corte - non deriva il diritto a morire, la facoltà di scegliere la morte piuttosto che la vita». È proprio qui che la Corte d'assise dissente: quell'orientamento della Cassazione «risulta contrario ai principi di libertà e di autodeterminazione dell'individuo». Ne consegue la necessità di rivolgersi alla Consulta. Dal dettato costituzionale, conclude la Corte, deriva «la libertà per l'individuo di decidere sulla propria vita ancorché da ciò dipenda la sua morte». Un principio ribadito anche dalla legge sul fine vita approvata lo scorso dicembre.

«È una vittoria non solo per Fabo, ma per tutti», ha detto fuori dall'aula la fidanzata di Fabiano Antoniani, Valeria Imbrogno. Soddisfatto e commosso lo stesso Cappato: «Voglio ringraziare prima di tutto Fabiano, che ha fatto pubblicamente quello che decine di persone fanno clandestinamente ogni anno». Per Tiziana Siciliano, quella della Corte d'assise è «un'ordinanza giuridicamente impeccabile.

La Corte ha ritenuto che ci sia una questione legislativa da valutare da parte dell'organo costituzionale e ha scritto un'ordinanza completa, che ha preso in considerazione tutti gli elementi dell'imputazione e ha fornito fortissimi elementi di valutazione alla Consulta».

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