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Napolitano liquida il Pd "Errore esaltare il governo"

Nel discorso iniziale, l'accusa del presidente emerito ai dem: «Drastica sconfitta che vi respinge all'opposizione»

Napolitano liquida il Pd "Errore esaltare il governo"

La randellata arriva in fretta, e senza troppi giri di parole: «Il partito che nella scorsa legislatura aveva guidato tre governi ha subìto una drastica sconfitta ed è stato respinto all'opposizione». E il risultato del 4 marzo «ha mostrato quanto poco avesse convinto l'auto-esaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da governi e da partiti di maggioranza».

Per un attimo, l'aula foderata di velluti rossi di Palazzo Madama si trasforma in una sorta di Comitato centrale del Pci-Pds-Ds-Pd, con l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano calato nei panni del capo dell'opposizione interna a fare l'analisi della sconfitta e a puntare il dito accusatore contro il segretario (peraltro già dimissionario), che sta seduto proprio davanti a lui, in una vera e propria requisitoria tutta politica contro Matteo Renzi. Il quale non muove un muscolo, anzi applaude i passaggi obbligati dell'orazione di Napolitano (l'omaggio a Mattarella, il benvenuto alla nuova senatrice a vita Liliana Segre, la sottolineatura dell'importanza del legame con la Ue «solo ancoraggio di un'Italia che voglia contare») e ufficialmente non commenta. Anche se, con i suoi, si lascia sfuggire un aggettivo: quel passaggio dedicato al Pd e ai suoi governi è stato «ingeneroso».

Una scena piuttosto inconsueta, che lascia attoniti molti degli astanti: non è usuale che il presidente pro-tempore del Senato, chiamato per anzianità a inizio legislatura a dirigere i lavori dell'aula in attesa dell'elezione del presidente, si sbilanci così in un discorso politico sulle ragioni e conseguenze del voto. Ma Napolitano, che dal Quirinale è stato il regista di tutta la scorsa legislatura nonché, spesso, delle mosse e delle scelte del suo partito di provenienza, se lo concede. E si toglie da quel podio la soddisfazione di bacchettare il leader che lui stesso aveva scelto come premier, nel 2014, ma che poi ha fatto troppo di testa sua, portando Pd ed esecutivo in direzioni diverse da quelle indicate da Napolitano.

Su una cosa, però, il presidente emerito e l'ex presidente del Consiglio sembrano concordare, in singolare sintonia, nell'analisi del ruolo che ora tocca al Pd: «Il nostro punto di riferimento - dice - non possono che essere le espressioni della volontà popolare che sono scaturite dal voto», che ha prodotto «un balzo in avanti clamoroso» delle forze di «radicale contestazione e rottura rispetto al passato». Dunque oggi sono loro, il Movimento 5 Stelle e il centrodestra a trazione leghista, quelli «candidati oggi a governare il paese», mentre il Pd sconfitto è «spinto all'opposizione». Esattamente il punto di partenza di Renzi, che da subito dopo il voto ha dettato questa linea al suo partito: noi stiamo all'opposizione, tocca agli altri dimostrare di saper governare.

Il presidente emerito definisce il voto del 4 marzo «uno spartiacque», parla di un voto di protesta causato da «diseguaglianze, ingiustizie, arretramenti di vasti ceti» e anche dal «senso di un cronico, intollerabile squilibrio fra nord e sud», tale da provocare una condanna in blocco dei ceti politici «stancamente governanti in quelle Regioni». Toltosi i sassolini dalle scarpe e incassato l'applauso finale, Napolitano procede come un treno nel suo compito: conduce con piglio sicuro le votazioni, rimbrotta i senatori che tardano a rispondere alla chiama («Conoscete l'alfabeto, sapete quando è il vostro turno»), spoglia le schede con ritmo sostenuto.

Si concede anche qualche battuta: un ironico «grazie» quando gli tocca leggere il proprio nome su una scheda; poi dopo una lunga raffica di: «Bianca, bianca», chiosa scherzoso: «È un omaggio unanime al film di Nanni Moretti».

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