Cronache

Nardi-Ballard, è finita: "Stop alle ricerche degli alpinisti dispersi"

Né i droni né l'ultima spedizione hanno trovato i due corpi: «Fatto tutto il possibile»

Nardi-Ballard, è finita: "Stop alle ricerche degli alpinisti dispersi"

Ultimo Nanga. È ora di staccare la corda, quel filo sottile che ancora legava la speranza alla dura realtà. È ora di lasciare Daniele Nardi e Tom Ballard sulla montagna, per sempre, a scalare il «loro» Nanga Parbat. Questa mattina ancora un volo, quasi un ultimo saluto, sarà effettuato verso la parete dove Daniele e Tom sono scomparsi da 12 giorni, poi l'elicottero tornerà a Skardu, ultimo avamposto pakistano prima dei ghiacci eterni, riportando indietro droni, soccorritori e speranze. A cercare i due alpinisti sono stati dei colleghi, amici anche, se si può esserlo fino in fondo, così ad alta quota. Prima Ali Sadpara poi Alex Txikon. Non poteva essere altrimenti: entrambi tentarono il Nanga con Nardi sia nel 2015, quando persero l'orientamento, rientrando ormai sfiniti, a rischio edema per essere stati troppo oltre la zona della morte, sia nel 2016, quando poi Nardi, per incomprensioni, se ne andò, rientrando in Italia, mentre il pakistano e il basco si unirono al team di Simone Moro e Tamara Lunger. Allora per loro fu cima, prima invernale assoluta. Oggi, tre anni dopo, è morte. Tom Ballard, 31 anni, se ne va come mamma Alison, prima donna a scalare, sola e senza ossigeno, l'Everest e dispersa, poi, sul K2 quando lui aveva 7 anni e già coltivava il sogno di seguirla. Nelle imprese alpinistiche ed, ora, purtroppo, anche nel destino.

Daniele Nardi, 42 anni, da Sezze, amava definirsi il primo italiano sotto il Po ad aver scalato degli Ottomila, fra cui lo stesso Nanga Parbat, ma d'estate. Quella montagna, la nona della terra con i suoi 8.125 metri, era divenuto pensiero dominante in inverno, con ben quattro tentativi, uno anche in solitaria, prima di questo ultimo viaggio: le parole affidate anche a un'intervista fanno gelare il sangue. «Potrei non tornare, se così fosse vorrei essere ricordato come uno che non si è arreso e a mio figlio vorrei che dicessero di non rinunciare ai sogni». Già, Mattia, sei mesi e una vita senza padre davanti. Difficile misurare le proprie aspirazioni davanti a un bimbo che non potrà conoscerti se non per sentito dire. Eppure Nardi e Ballard sapevano che il non ritorno era un'opzione, più di un semplice fallimento: a differenza di altri alpinisti avevano predisposto, oltre a una congrua assicurazione, anche un deposito di denaro per far partire eventuali operazioni di soccorso. E così è stato, nonostante la tensione fra Pakistan e India che però non ha rallentato che di pochissimo i primi sorvoli, cominciati pochi giorni dopo il 24 febbraio quando Nardi chiamò sua moglie per l'ultima volta. Gli amici, intanto, avevano anche lanciato una raccolta fondi per sostenere i soccorsi, dato che un giorno di volo può costare anche 40mila euro. Ora i soldi saranno devoluti anche ai bimbi del Pakistan che già Nardi aveva aiutato.

Il suo sogno continuerà anche così, ma lo sperone Mummery per la comunità degli alpinisti era un grande azzardo. Utile forse per svoltare nel curriculum, per avere più appeal con gli sponsor, ma oggettivamente troppo rischioso. A tornare vivo, perdendo però il fratello Gunter, solo Reinhold Messner, in discesa e disperato. In salita nessuno mai. Continuare a cercare ora sarebbe pericoloso per gli stessi soccorritori: le continue valanghe hanno cancellato ogni segno, la tenda avvistata, schiacciata da una valanga, forse non era nemmeno dei due ragazzi. Anche la perlustrazione a piedi e in volo della parete Kinshofer, sempre attrezzata con corde fisse di annate precedenti, non ha dato risultati. Eppure se vivi e in discesa, Tom e Daniele sarebbero passati di li.NARDI

Il cerchio si chiude e dal Nanga Parbat si sposta al K2, l'ultimo ottomila ancora inviolato d'inverno. A tentarlo due cordate. Un gruppo di russi che, dopo aver dato la loro disponibilità per cercare i ragazzi de Nanga, hanno proseguito e ieri hanno superato quota 7mila. E da oggi anche Alex Txikon che proprio al K2 sta per tornare col suo team per tentare un altra impresa. Perché in montagna bisogna sempre salire. Si chiama sogno.

The show must go on.

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