Politica

Nasce la nuova Bce, occasione da non sprecare

La Banca centrale europea capeggiata da Mario Draghi sta per varare il quantitative easing sin qui osteggiato dalla Germania. Una svolta storica, consistente in un massiccio acquisto di titoli del debito pubblico sul mercato secondario, (ossia quello dei titoli già esistenti) per un importo che dovrebbe essere pari al 20-25% dei titoli dei singoli Stati membri, oltre 500 miliardi di euro. Ora la Bce è sempre più simile, nei suoi poteri monetari, alla Federal Reserve Usa e alle banche di Inghilterra e del Giappone.

Con questa mossa la Bce crea una ingente quantità di euro, in cambio del debito pubblico che essa ritira, senza generare deficit di bilancio perché compra i titoli dalle banche e dagli altri operatori finanziari, non sul mercato primario, quello dei nuovi titoli emessi dai governi, che rimangono obbligati a seguire le regole sul tendenziale pareggio, per scendere mano a mano sotto il 3% di deficit sul Pil. Ma anche così si attua una svolta storica densa di significato politico, a livello europeo e italiano. La mossa di Draghi avviene prima delle elezioni in Grecia, non dopo come molti chiedevano in Germania. Infatti la minaccia del terrorismo islamico induce l'Europa a una maggior coesione e a un rilancio della crescita per meglio combattere i germi che possono agevolare il terrorismo. La Grecia confina con il mondo islamico. È importante che rimanga nell'eurozona, per non far vedere al terrorismo che in Europa si stanno aprendo crepe.

In genere la Germania subisce l'acquisto di titoli del debito pubblico dei vari Stati dell'Unione da parte della Bce perché, in ritardo, si rende conto che diversamente l'eurozona va in stagnazione e i movimenti di dissenso si accrescono. Accetta, dunque, la rottura di un tabù monetario che indusse Bankitalia a divorziare dal Tesoro nel 1980, tramite il ministro dc Beniamino Andreatta, seguace di Aldo Moro. Il passo tedesco è epocale, anche se c'è un compromesso perché una quota dei titoli acquistati potrebbe essere a carico non della Bce ma delle banche degli Stati membri, per noi la Banca di Italia. Soluzione che non può durare a lungo, perché divaricherebbe fra loro le banche centrali nazionali che formano la Bce.

Per noi questo comporta un grande impegno di politica economica, una svolta verso una economia meno dirigista, meno fiscalista, meno giustizialista per favorire l'investimento e la crescita. Di per sé le banche e gli intermediari finanziari avendo meno debito pubblico nei loro impieghi avranno più mezzi per finanziare l'economia. Ma occorre che «il cavallo beva», fuor di metafora che l'investitore chieda e ottenga la liquidità messa disposizione tramite la mossa della Bce. Dunque un doppio stimolo: alle banche per prestare i soldi e alle imprese e alle famiglie per chiederli. Di per sé l'alleggerimento del peso del debito pubblico sulle banche è uno stimolo ad esse ad impiegare il loro denaro nei prestiti a famiglie e imprese perché si riduce il loro rischio connesso al pericolo di insolvenza di un alto debito pubblico. Un mio recente studio econometrico con Cosimo Magazzino sulle politiche fiscali dei Paesi europei dimostra che la riduzione del rapporto debito-Pil aumenta la crescita mentre l'aumento tende a ridurla.

Però le nostre banche potrebbero tenersi il vecchio debito pubblico che dà alti utili anziché cederlo alla Bce e impiegare il liquido nelle famiglie e imprese. Bisogna che queste abbiano meno rischi fiscali, giudiziari, occupazionali e più voglia di investire. Marchionne riesce ad assumere a Melfi in Basilicata per produrre jeep da vendere in America perché Fiat-Chrysler è uscita dalla Confindustria per fare un contratto aziendale in contrasto con quello nazionale, ha messo la sede fiscale a Londra sotto il fisco britannico e quella legale in Olanda sotto la giurisdizione di uno Stato dell'eurozona in cui la giustizia è certa e non interferente, le leggi sono più semplici e non c'è un pregiudizio contro il risparmio e gli affari. La Spagna cresce più dell'1% perché ha fatto le riforme pro mercato e i contratti aziendali, l'Italia solo dello 0,4% perché in Italia c'è una zavorra culturale a sinistra.

Cerchiamo di non sprecare questa occasione, che comunque impone cambi di rotta.

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