Cronache

La necessaria esegesi per la preghiera di Gesù

La necessaria esegesi per la preghiera di Gesù

Il problema del Padre nostro è, da sempre, quel versetto: «...e non ci indurre in tentazione». Il fatto è che Gesù Cristo ha insegnato ai suoi discepoli una sola preghiera. E giusto perché glielo avevano chiesto quasi con insistenza, sennò non avrebbe, magari, insegnato neanche quella. Infatti, il passo evangelico che la riguarda è preceduto da un ammonimento quasi infastidito: quando pregate, non fate come i pagani che credono di essere esauditi a forza di parole. Eh, avendo a che fare con una torma di divinità capricciose e vendicative, i pagani dovevano essere precisi allo spasimo nelle richieste; da qui la moltiplicazione delle parole. Ma il Dio cristiano è Padre buono, che sa quel che ci serve ancor prima che glielo si chieda. Perciò, una sola, breve, preghiera basta e avanza. Ora, proprio la stringatezza dell'unica preghiera del Vangelo implica che, in essa, le parole non sono lì a caso. Quel «non ci indurre», dunque, deve avere, anch'esso, la sua giustificazione. È appena il caso di dire che la Chiesa ha pregato così per duemila anni, e nessuno ha mai avuto da obiettare. Infatti, anche nella versione latina il termine è lo stesso: «et ne nos inducas in tentationem». Nei secoli, quando non c'erano i mezzi di comunicazione di massa, se a qualcuno venivano dubbi su quell'«inducas», non restava che chiedere al prete, il quale spiegava il come e il qualmente. La questione, comunque, non è mai stata giudicata di capitale importanza, sennò avrebbe dato luogo a eresie, magari scismi, in ogni caso dispute galattiche. In effetti, è pur vero che quello che induce in tentazione è Satana, non certo Dio. Allora, come la si mette? Si deve guardare al versetto successivo, che comincia con un «ma»: «ma liberaci dal male». Così, la frase intera ha questo senso: al male che ci coglie, che ci assedia, siamo «tentati» di rispondere noi, d'impulso. Noi quasi sicuramente sbaglieremmo nella reazione, perciò sia Dio a liberarci dal male, prima che cediamo alla tentazione di farlo noi. Infatti, in altro luogo Cristo ha detto di non resistere al malvagio, di porgere l'altra guancia (c.d. discorso della montagna), ben sapendo che il nostro primo istinto è di rispondere per le rime. Ora, sappiamo che, per esempio, un tamponamento automobilistico può finire in omicidio «per futili motivi» se non si resiste alla «tentazione» di bloccare l'escalation prima che l'iniziale animata discussione degeneri e si venga alle mani. Per questo preghiamo il Padre di liberarci dal male affinché non cediamo alla tentazione del fai-da-te. È corretto, come dice papa Francesco, affermare che Dio non è un tentatore, ci mancherebbe. Ma non è la traduzione ad essere sbagliata. In Francia, per sicurezza, hanno tradotto così: «Non lasciarci entrare in tentazione». Che accontenta tutti. Tuttavia, come abbiamo visto, è una questione di esegesi, non di traduzione.

Della questione si era già occupato Benedetto XVI nel libro Gesù di Nazaret, che però aveva lasciato il «non ci indurre» al suo posto.

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