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"Negligenti e imprudenti, causarono quei decessi"

I pericoli dello stabilimento scoperti già nell'81. Ma sino all'87 nessuna precauzione

"Negligenti e imprudenti, causarono quei decessi"

«Esercitando in modo significativo e continuativo i poteri tipici del datore di lavoro e funzioni dirigenziali nell'ambito della prevenzione infortuni e malattie professionali, cagionavano, ovvero non impedivano che fosse cagionata la morte di Bretto Maria Giuditta, intervenuta il 24 febbraio 2013 per mesotelioma peritoneale». E di Marcello Costanzo, di Emilio Ganio, di tutti gli altri dipendenti dell'Olivetti morti di una morte terribile per avere lavorato in fabbrica. È questa, nelle carte dell'inchiesta, l'accusa che i pm di Ivrea muovono ai 39 imputati dell'inchiesta sui tumori all'Olivetti, tra cui Carlo De Benedetti. Una indagine durata quattro anni, e arrivata alla stessa conclusione cui in altre parti d'Italia la magistratura è giunta analizzando i morti per amianto: per decenni l'amianto è stato un killer sconosciuto, ma almeno dagli anni Settanta il suo pericolo era noto. Ma si è fatto finta di niente.

Per capire come la Procura si sia convinta che i piani alti «non potevano non sapere» basta leggere quello che i pm scrivono su uno dei morti, Emilio Ganio: «Come addetto ai torni automatici e dal 1970 come capo squadra nei vari reparti di produzione all'interno del capannone sud del comprensorio di San Bernardo di Ivrea veniva esposto all'inalazione di fibre di amianto disperse dall'intonaco di rivestimento del soffitto che era costituito di amianto in matrice friabile». A De Benedetti e agli altri indagati la Procura contesta «negligenza, imprudenza, imperizia e comunque l'omessa adozione delle misure e della necessaria vigilanza che sarebbero state necessarie a tutelare la integrità fisica di Ganio Emilio, rilevando tardivamente e solo nel 1987 la presenza di amianto nella struttura del capannone sud». Ancora più esplicite le conclusioni cui i pm sono arrivati sulla morte di Antonio Merlo, stroncato dal tumore nel 2011 per l'amianto respirato non solo in reparto ma anche in mensa: amministratori e dirigenti «omettevano di rilevare tempestivamente la presenza dell'amianto in matrice friabile all'interno del piano terra delle officine H e del locale mensa del comprensorio di via Jervis, non adottando misure igieniche che consentissero ai lavoratori di mangiare, bere e sostare senza rischio di contaminazione da polvere di amianto». Fino al 1987 non viene fatto un campionamento dei locali, ma ancora peggio per i pm è quanto accade dopo: «Sebbene i valori riscontrati dai monitoraggi ambientali evidenziassero una concentrazione di fibre all'interno dei locali superiore del doppio rispetto a quella esterna non effettuavano alcuna valutazione del rischio per i lavoratori esposti, non effettuavano alcuna analisi mineralogica delle fibre, non effettuavano alcuna ispezione visiva».

E non è tutto. Sulla consapevolezza da parte del management Olivetti dei rischi da amianto, i pm hanno acquisito documenti e perizie. Tra i primi, una missiva di Maria Laura Ravera, direttrice del servizio ecologia dell'azienda, che il 16 febbraio 1981 (in piena era De Benedetti) invia due campioni all'università di Torino chiedendo di «voler esaminare i due campioni di talco per verificare se in essi è presente dell'amianto». È un talco particolare, che proviene da una valle svizzera, e contiene tremolite, un tipo particolare di amianto. Le analisi di Torino rivelano che nel talco usato all'Olivetti c'è una concentrazione di 500mila unità per microgramma, cinquecento volte il tetto ammesso negli Stati Uniti. In una perizia affidata dalla Procura all'epidemiologo Massimiliano Buggiani si legge: «Dagli anni Settanta era già nota la presenza nei talchi utilizzati nell'industria di altri minerali, tra cui l'amianto sotto forma di tremolite», che però venne usato in Olivetti fino al 1981. Dagli elementi e dalle testimonianze raccolte risulta che tra il 1968 e il 1980 non sono state adottate idonee misure preventive a tutela dei lavoratori. Un altro consulente della Procura, Luigi Tirrito, scrive: «Il rischio poteva essere azzerato». Sarebbe stata sufficiente una «analisi al microscopio del talco prima dell'inserimento nel ciclo produttivo». Ma «nessuna misura di sicurezza, come risulta dagli atti, è stata mai adottata».

Nel giugno 1977 una nota riservata del Laboratorio chimico aziendale della Olivetti individua tutti gli usi cui all'interno dell'azienda è destinato l'amianto: isolante termico, produzione di frizioni, componente esterno.

Ma nulla accade.LF

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