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Nel mondo di Donald l'Europa conta zero

Al miliardario repubblicano interessa soltanto l'America. E gli alleati dovranno pagare

Nel mondo di Donald l'Europa conta zero

Come saranno gli Stati Uniti e il mondo se Donald Trump diventerà presidente? La domanda richiede fantasia perché la Storia è imprevedibile, come lo fu nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e come accadde in America con gli attentati dell'11 Settembre 2001 quando il presidente George W. Bush, che aveva un programma isolazionista, si sentì obbligato a dare una prova di forza, attaccando l'Irak di Saddam Hussein. Trump è un neoisolazionista. Vuole l'America fuori dalle vicende altrui. Ai sudcoreani e ai giapponesi minacciati dal dittatore nordcoreano e dai suoi missili con testata atomica, ha detto che dovranno arrangiarsi senza gli americani, salvo poi correggersi.

Ma la sua idea sembra chiara: sarà un mondo in cui gli Stati Uniti non attaccheranno briga se non provocati seguendo il vecchio adagio del presidente Theodore Roosevelt: «Non alzare la voce, ma impugna un nodoso bastone». Ha detto di voler sciogliere la Nato perché l'alleanza atlantica non ha più alcun senso e di conseguenza intende lasciare al loro destino quelle parti dell'Europa che soffrono la pressione russa come i Paesi Baltici, l'Ucraina e la Polonia. Al tempo stesso l'estemporaneo tycoon ha concesso che gli Usa potranno su domanda degli interessati intervenire in casi eccezionali purché le spese le paghi il committente. L'America di Trump sarà «di nuovo grande» ma soltanto a vantaggio degli americani, non del resto del mondo. Quanto all'immigrazione, tutti sanno che Trump non demorde sul Muro col Messico, che vuole far pagare al governo messicano. Ma tutti i muri sono simboli e quello di Trump simboleggia il fermo rifiuto all'idea di prendersi senza protestare quote variabili di profughi, emigranti ma anche bande di spacciatori di droga e delinquenti comuni. Questa posizione è stata molto apprezzata dal leader italiano della Lega Matteo Salvini che è andato a trovare Trump proponendosi anche come trait d'union con il presidente russo Putin, il quale del resto non fa mistero di tifare Trump. Quanto alla politica interna, Trump sta cercando di elaborare gli slogan in programmi. Oggi dovrà incontrare il presidente repubblicano del Congresso, il dinamicissimo Paul Ryan il quale è un maniaco del taglio delle tasse. Trump dice di voler tagliare le tasse ma poi non riesce a pianificare i dettagli.

Ryan detesta Trump (ha dichiarato di «non essere pronto ad accettarlo come candidato») ma poi ha accettato di vederlo questa mattina per trovare insieme una soluzione sulla drastica riduzione tasse che soddisfi Ryan, fornisca strumenti politici a Trump e rimetta insieme i cocci del partito, spaccato verticalmente fra conservatori come Ted Cruz e lo stesso Ryan e rivoluzionari anti-establishment, come Trump il quale vorrebbe anche un dollaro forte e prestigioso, mentre le grandi aziende lo vorrebbero meno caro e competitivo all'estero. Infine, il debito pubblico: il presunto candidato repubblicano (questo il titolo che gli spetta finché la Convention di luglio non lo incoronerà ufficialmente) si è messo in testa che per rendere di nuovo grande l'America bisogna ridurre, e in prospettiva annullare, l'enorme debito pubblico americano. Apriti cielo: tutti gli economisti democratici gli sono saltati al collo perché considerano il debito una irrinunciabile risorsa, essendo il più sicuro degli investimenti per tutti i risparmiatori del mondo.

L'onore degli Stati Uniti consiste, questa l'antica dottrina dei padri fondatori, nel pagare puntualmente e senza eccezioni i creditori che sostengono il suo debito che rende più spensierato il mercato.

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