Politica

Ma nel Pd si tratta coi clan già dalle primarie del 2011

Nell'inchiesta (poi insabbiata) della Dda le intercettazioni che provano l'acquisto dei voti

Simone Di Meo

Napoli Quello che per Antonio Bassolino è «un burrone politico e morale», per le carte giudiziarie è commistione e reciproco scambio di favori tra camorristi ed esponenti del Partito democratico. E non solo in relazione all'ultimissima indagine a carico del presidente (autosospeso) del partito campano Stefano Graziano, ma a un certo modo di fare politica in Campania.

Eppure, il campanello d'allarme era suonato con l'inchiesta aperta dai pm antimafia di Napoli sulle primarie cittadine del 2011. Il Giornale ha potuto leggere quegli atti rimasti segreti. I protagonisti indiscussi sono l'europarlamentare Andrea Cozzolino e l'ex sottosegretario Umberto Ranieri, pupillo di Giorgio Napolitano. L'ipotesi dei carabinieri è chiara: le consultazioni furono truccate e addirittura infiltrate dalla malavita, ma l'indagine si è arenata. Le preferenze per le primarie, annotano i militari, si vendono a 10 euro nel seggio di Miano, uno dei quartieri-ghetto della città controllato dal temibile clan Lo Russo. A coordinare il «mercato» è un assessore di quella municipalità, soprannominato «Michael». È ritenuto vicino alla cosca dei Capitoni. Il suo compito è far trionfare Cozzolino con ogni mezzo. Ci riuscirà, ma servirà a poco perché il segretario Pier Luigi Bersani azzererà tutto. «Hanno fatto carne da macello», sussurra al telefono uno dei testimoni. «Sembra di essere a Baghdad», dice un altro. Riassume un terzo: «È una porcheria». Nel seggio di Via Ianfolla 554, raccontano i documenti giudiziari, blindato dai «cozzoliniani», il gruppo che sostiene Ranieri riesce ad insinuarsi grazie a una manovra di aggiramento. Ad esso, a fine giornata, l'uomo del clan Lo Russo regala un centinaio di voti. Il braccio destro dell'ex presidente della Repubblica finisce pure nelle intercettazioni. Discute di misteriosi «conti» da saldare. Gli investigatori monitorano i movimenti degli entourage dei candidati e degli uomini delle cosche di Secondigliano. Lo scenario è torbido, avvelenato. E lo ammette un galoppino reclutato per rastrellare consensi. A Miano «hanno preso il tabacco». Soldi.

Ma finché si tratta di una competizione interna a un movimento politico evidentemente non si configurano reati, finanche se c'è lo zampino della criminalità organizzata. I sostenitori di Ranieri, appena intuiscono l'aria che tira al seggio, iniziano freneticamente a chiamarsi l'un l'altro. Accusano Cozzolino di aver imbrogliato. Invece di denunciare, però, si lamentano di non aver adottato lo stesso sistema. Uno si rammarica di non aver promosso una colletta per raccogliere i «5mila euro» necessari alla vittoria. Chi in quel momento parla è attualmente un influente consigliere regionale del Partito democratico campano, molto vicino al Nazareno. I brogliacci dei militari raccolgono pure le minacce che un consigliere comunale di Napoli rivolge al gruppo di Ranieri, se non verranno saldati i debiti per i quali si è personalmente esposto. Altrimenti scrive in un messaggio di fuoco convocherà una conferenza stampa e racconterà «le primarie in realtà da chi erano rappresentate». L'avvertimento è secco: «Vi consiglio di leggere attentamente questo sms e risolvere come richiesto».

La gran parte dei soggetti coinvolti o citati nel fascicolo sostiene oggi la candidata ufficiale del Pd Valeria Valente, vincitrice delle primarie del marzo scorso; quelle degli euro regalati davanti ai seggi.

Ma lei, certamente, farà a meno del loro aiuto.

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