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Netanyahu da record: quinto mandato

Il premier è pronto a formare un nuovo governo con il suo Likud e la destra religiosa

Netanyahu da record: quinto mandato

Alla fine Netanyahu ce l'ha fatta ancora. Il testa a testa tra il suo partito Likud e quello nuovo di zecca «Blu e Bianco» del suo avversario centrista Benny Gantz si è protratto, è vero, fino al termine dei conteggi dei voti, facendo sì che entrambi porteranno al Parlamento israeliano lo stesso numero di deputati, trentacinque. Ma la differenza, una volta di più, la fa la diversa capacità di attrarre in coalizione i partiti minori, che in Israele sono tradizionalmente numerosi e litigiosi. E così, numeri alla mano, il leader della destra nazionalista potrà contare su 65 seggi, contro i 55 della futura opposizione. Seggio più seggio meno, dal momento che i voti dei militari non sono ancora stati contati tutti, il che potrebbe spostare ancora qualcosa in termini di eletti alla Knesset.

La futura maggioranza, come la precedente, dovrebbe poter contare accanto al Likud sul sostegno determinante dei partiti della destra religiosa e laica, oltre che su quello del più estremista Yisrael Beitenu: ma è certo che il leader di quest'ultimo partito, il falco Avigdor Lieberman, chiederà un prezzo alto. Basti ricordare che era stato lui, nello scorso novembre, a provocare le elezioni anticipate con le sue dimissioni da ministro della Difesa, polemicamente motivate con la protesta «contro la continua capitolazione nei confronti del terrorismo» e di Hamas.

Preso atto della buona ma vana affermazione del partito di Gantz, il dato politicamente più rilevante riguarda la pesante sconfitta del partito laburista. Lo storico partito della sinistra israeliana, già molto ridimensionato dal voto di quattro anni fa, precipita da 19 a 6 seggi e diventa di fatto uno dei tanti partitelli i cui pochi deputati affolleranno la Knesset. È sempre più evidente che in tempi di gravi tensioni con i palestinesi e con l'incombente minaccia per la sopravvivenza dello Stato ebraico rappresentata dall'Iran, l'opinione pubblica ha forti remore ad affidare la propria sicurezza a un partito percepito troppo incline al pacifismo e a pericolosi compromessi. Anche i partiti della minoranza arabo-israeliana, che in teoria possono contare su un bacino di voti vicino al 20%, sono andati male a causa dell'astensionismo. Problema opposto in alcune colonie ebraiche della Cisgiordania, dove la destra più radicale sembra aver beneficiato di irregolarità: si sono contati più voti degli aventi diritto.

Dopo la pubblicazione ufficiale dei risultati che avverrà oggi, partirà il complesso iter per la formazione del nuovo governo. Verosimilmente il presidente della Repubblica Reuven Rivlin affiderà l'incarico a Netanyahu, che avrà a disposizione sei settimane da dedicare alle trattative. Le consultazioni saranno tenute in diretta per promuovere la trasparenza. Davanti a sé Netanyahu avrà due strade: la prima è quella logica e complicata della riproposizione di un esecutivo di destra, mentre la seconda già categoricamente esclusa a parole, ma che potrebbe affiorare per pragmatismo in caso di fallimento della precedente prevede un compromesso al centro con Gantz per evitare il caos.

Netanyahu dovrebbe poter festeggiare entro poche settimane l'inizio del suo quinto mandato, un record che gli farebbe superare quello detenuto dal «padre della patria» David Ben Gurion. Non va però dimenticato che sulla sua testa pende il rischio concreto di un'incriminazione del procuratore generale d'Israele, Avichai Mandelbilt, che intende perseguire il premier per tre casi di corruzione, abuso di fiducia e frode.

E quello sì che sarebbe un terremoto politico.

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