Cronache

Neve e scosse Ecco l'odissea senza fine di un'Italia lasciata da sola

I paesi arroccati sull'Appennino sono un cumulo di rovine imbiancate Lo Stato balbetta di ricostruzione, ma annaspa tra ritardi e cavilli Il maltempo era prevedibile, eppure le comunità sono in ginocchio: «Qui non si è visto nessuno...

Neve e scosse Ecco l'odissea senza fine di un'Italia lasciata da sola

La dichiarazione di guerra arriva dal sindaco di Ussita: «Non vi rendete conto - afferma Marco Rinaldi - di che cosa vuol dire combattere con un metro di neve, un metro e venti, a fondo valle». Vuol dire che se si sale in quota, sui Sibillini, le frazioni, se ancora esistono, sono sepolte sotto centocinquanta, centoottanta, duecento centimetri di neve.

Hai voglia a dire che il Paese è solidale, e che lo Stato c'è e nessuno è stato abbandonato. Ussita, Visso, Castelsantangelo sul Nera: una striscia di borghi che compongono quell'Italia bellissima e appartata, fuori dalle grandi direttrici turistiche ma scrigno di storia, memorie e sapori. Oggi sono un domino di rovine e un orizzonte bianco che tutto cancella e confonde. Se ci si sposta di qualche chilometro verso il Reatino o si punta sulla Valnerina la situazione non cambia. E peggiora perfino a Montereale, sul lato abruzzese, doppio epicentro dell'ultima scossa e del maltempo. Una combinazione infernale a Campotosto dove la slavina seppellisce un uomo.

Sotto c'è il drago che danza rabbioso seguendo un ritmo che nessuno riesce a capire. E' così dal 24 agosto: la coda del mostro imbrigliato sotto terra colpisce dove vuole e riapre ferite, sbriciola i monconi dei palazzi nelle troppe zone rosse, mette in crisi anche le psicologie più strutturate. Sopra c'è il cielo che mitraglia neve e paralizza la geografia. «Siamo colpiti dall'alto e dal basso», sintetizza brutale ma efficace Damocle Magrelli, il più importante albergatore di Cascia, con un presagio già in quel nome che trasuda classicità.

Paesi che erano cartoline e presepi nella terra del presepe sono ora mozziconi e monconi di un corpo martoriato, coriandoli di un carnevale impazzito. Senza sorrisi e la speranza che si asciuga ogni giorno di più.

Accumoli, Amatrice, Arquata del Tronto: un rosario che gli italiani hanno cominciato a pronunciare questa estate. Pensavano di risollevarsi, credevano di sentire il respiro di un paese intero intorno a loro. Ci speravano. Ora mandano segnali sempre più cupi. La neve. Il gelo. Le scosse regolate da un metronomo invisibile. D'accordo, il drago non si può fermare, ma l'Inverno, il famoso generale che sconfisse Napoleone, può essere arginato. E invece c'è uno Stato che balbetta e la macchina della ricostruzione, meglio sarebbe dire dell'emergenza, che annaspa e s'incarta. Ritardi, cavilli, competenze incrociate e sovrapposte. I villaggi sprofondano e i mezzi di soccorso arrivano se e quando possono. «Mandateci uno spazzaneve», implorano quindici allevatori inchiodati a Colle di Arquata del Tronto. Sos a raffica. Grappoli di case senza riscaldamento. Black out su black out. Il buio minaccioso.

L'attesa sfinisce. L'attesa assesta il colpo di grazia a economie sfibrate, lodate nei convegni sulle eccellenze del made in Italy ma abbandonate al loro destino. L'attesa costringe a giocarsela a dadi con un destino incrudelito e beffardo. Ancora dal cratere marchigiano l'azienda agricola Scolastici diffonde un bollettino di guerra: «L'altezza della neve è intorno a un metro e ottanta ma ci sono comuni alti anche quattro metri. Siamo usciti a fatica da casa e non riusciamo a raggiungere le stalle neanche a piedi. Le strade sono interrotte e da ieri sera tutte le frazioni sono isolate. Stanotte sono crollate due stalle con mucche e pecore all'interno, una a Gualdo e una a Belforte. Non sappiamo in che condizioni siano i nostri animali e dalle sei di questa mattina stiamo contattando tutte le forze dell'ordine per richiedere un intervento, sembra non ci siano abbastanza mezzi e comunque squadre mal equipaggiate».

Sui social l'angoscia serpeggia come e più del dinosauro che continua a scrollare la terra. A Rio di Lame si cercano due anziani spariti nel nulla. La moglie di un allevatore lancia, attraverso l'inviato delle reti Mediaset Remo Croci, l'ennesimo appello fotocopia: «Aiutateci a riaprire la strada». Le strade sono bloccate, le mucche non ce la fanno più come gli umani, la natura, maligna come nemmeno Leopardi l'aveva immaginata, potrebbe oscurare quest'estate perfino quel miracolo cromatico della Fiorita nella piana spettrale di Castelluccio, dove non c'è più nessuno a parte un presidio di alpini, dove le temperature si fanno siberiane con punte di meno diciannove e meno venti, e dove anche le celebratissime lenticchie rischiano di diventare un esercizio della memoria.

No, non può finire così. Con le casette - in formato da quaranta o sessanta metri quadri - che arrivano con il contagocce e i moduli - docce, bagni, saletta tv, camere spartane per circoscrivere una famiglia e i suoi affetti -sono pure quelli una promessa.

Cosa stanno facendo le autorità, si chiede la gente che è stufa del carosello di riunioni, comunicati, parate di questo o quel papavero. Servono le ruspe, servono le pale, serve il sale sull' asfalto. Domenica a Grisciano, nel Reatino, hanno coagulato la rabbia impugnando cartelli che raccontavano già tutto: «Basta con le parole. Cosi si uccide più del terremoto. Qui non si è visto più nessuno».

Solo il cielo incattivito che non promette nulla di buono.

Solo una tregua unilaterale nella tempesta bianca che ghiaccia anche la coda del drago.

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