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No dei renziani al dialogo: "Può esploderci in mano"

Dopo l'ennesimo flop in Molise, i fedelissimi frenano chi apre al M5s per tornare in gioco

No dei renziani al dialogo: "Può esploderci in mano"

L'impacciato Roberto Fico non fa neppure in tempo ad annunciare di aver ricevuto il mandato di esplorare il forno Pd, che lo sportello gli viene chiuso energicamente sul naso.

Dal quartier generale renziano parte l'input per una raffica di niet, un coro che va dal presidente Matteo Orfini («Siamo due partiti radicalmente alternativi, non c'è possibilità di accordo politico») al capogruppo dei senatori Andrea Marcucci («Mancano anche le condizioni minime per discutere di governo») e così via. Un fuoco di sbarramento che ha soprattutto un movente interno, quello di impedire che parta la sarabanda degli «aperturisti» che non vedono l'ora di dialogare col primo grillino che passa. I segnali si moltiplicano da settimane, ultimo filo-Cinque Stelle arrivato è il sindaco di Milano Sala. Ma c'è chi sospetta che presto possano tornare alla carica «quelli che - come dice un esponente Pd - guardano anche al proprio futuro: chi, come Prodi o Veltroni, sogna il Quirinale con il placet pentastellato. O chi, come Franceschini, potrebbe pensare più concretamente che un incarico a Fico libererebbe per lui la casella di Montecitorio». Ieri, ad esempio, la prodianissima Sandra Zampa ha spiegato che il Pd dovrebbe comunque adoperarsi per «far partire un governo dei Cinque Stelle», magari con «l'astensione». Così, lo sbarramento preventivo serve anche a segnalare che nessun dialogo su futuribili governi può prescindere dal convitato di pietra Matteo Renzi, che ricorda: «Per fare una maggioranza con i nostri voti, M5s dovrebbe convincere almeno il 90% dei gruppi Pd...». Come dire che, senza il suo via libera, i numeri non ci saranno comunque. Questione chiara anche ai grillini, che infatti attraverso Luca Lotti e altri stanno cercando di aprire un canale diretto con Renzi. «Il bombardamento preventivo contro Fico è in realtà contro Mattarella», insorge l'ala trattativista. Il reggente Martina cerca di calmare le acque e di tenere insieme il partito: «Ci confronteremo con Fico con spirito di leale collaborazione».

«Questo incarico a Fico delimitato al nostro campo può diventare una bomba che ci esplode in casa - ragiona un dirigente Dem - quindi bisogna stare molto attenti a come lo si maneggia». Anche perché i Cinque Stelle, ossessionati dall'ansia di entrare nella stanza dei bottoni, sono pronti a qualsiasi concessione pur di incastrare un interlocutore. Orfini lo dice chiaramente, sia pure con sarcasmo: «Hanno talmente voglia di arrivare a Palazzo Chigi che se andiamo avanti così ci proporranno i cento punti di programma del Pd e Di Maio chiederà la tessera». E pronta arriva la conferma, con Di Maio che dichiara chiusa la trattativa con la Lega, per far cadere una delle obiezioni che tenevano uniti i Dem. Il sentiero del Pd si fa quindi più stretto. Anche perché il risultato pessimo del centrosinistra in Molise (nonostante la consolazione dei 13 punti persi in due mesi dai grillini) sta a dimostrare che il rischio elezioni ravvicinate è meglio non correrlo. Una sconfitta annunciata, certo, ma anche l'ultima di una lunga teoria, a conferma di un trend che al momento sembra inarrestabile. E la prima del dopo-Renzi.

Al tavolo di Fico il Pd dovrà comunque sedersi, forse già oggi, con argomenti forti per non farsi impaniare. Ieri il presidente della Camera, sceso dal Colle (sempre a piedi, ma scortato da decine e decine di body guard e portaborse), è salito a Palazzo Chigi per un colloquio con Paolo Gentiloni, con il quale ha parlato della presentazione del Def. Al premier ha spiegato che incontrerà prima la delegazione Dem, poi quella grillina (quella di Leu se la è scordata anche lui).

Quindi darà il suo responso al Quirinale.

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