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No al reddito a 5 Stelle. La Lega va in piazza contro il suo governo

Alla base stanno stretti "quei totali incapaci dei 5s". Salvini ribadisce: l'alleanza durerà

No al reddito a 5 Stelle. La Lega va in piazza contro il suo governo

La felpa della Polizia (deve aver letto i sondaggi secondo cui solo le forze dell'ordine se la battono col Capo dello Stato, in quanto a popolarità), la mano sul cuore, lo sguardo all'orizzonte come si conviene ad un condottiero, la musica di Puccini («All'alba vincerò», il messaggio subliminale è piuttosto spiccio): quando Matteo Salvini ascende al palco di Piazza del Popolo, la coreografia è studiata al dettaglio.

La piazza è piena e sventolante di bandiere, striscioni e militanti osannanti: ben 200 pullman e tre treni speciali organizzati dalla Lega per garantire la riuscita della manifestazione. «Siamo 100mila», si slancia lui. Ma come tutti i promotori di manifestazioni esagera, e parecchio. Comunque, la prova di forza è riuscita. Ma c'è un singolare contrasto tra le parole di Salvini dal palco e gli umori di gran parte dei suoi fan. Il vicepremier fa giuramento di fedeltà a maggioranza e esecutivo: «Questo governo mantiene tutti i suoi impegni e dura 5 anni. Non farò mai saltare un governo che lavora per gli italiani, per un sondaggio», assicura. Si dimentica, comprensibilmente, dell'esistenza del premier Conte, ma omaggia graziosamente il suo omologo grillino: «Quello che abbiamo ottenuto in questi mesi non è il frutto del lavoro di uno ma di tutti. Ringrazio Luigi (Di Maio, ndr) per il suo». Qui si ferma un attimo, chiamando l'applauso per l'alleato, ma la risposta della piazza è molto svogliata: giusto qualche battimani di circostanza. Che il popolo della Lega ci stia stretto, nel patto con quelli che un illustre dirigente chiama «quei totali incapaci dei Cinque Stelle» è chiaramente percepibile. E non lo si capisce solo dal manifesto con su scritto a caratteri cubitali: «No al reddito di cittadinanza» che issano alcuni leghisti, ma persino dal pamphlet di propaganda su «Sei mesi di buon senso al governo» distribuito in piazza. E tutto dedicato alle imprese del ministro dell'Interno, e non certo dei suoi alleati: zeppo di diagrammi e grafici sull'immigrazione, gli sbarchi e i morti in mare: tutto quasi sparito grazie a lui, spiega Salvini: «Si diceva che l'immigrazione era fenomeno epocale e che non si poteva fermare. È bastato un po' di coraggio...». E poi, a Gigino e compagni, manda un avvertimento chiaro: «Questo governo non approverà alcuna tassa, è un impegno». Altro che balzelli sulle auto «inquinanti» di cui va cianciando Laura Castelli.

Ma il momento della rottura non è questo: troppe incognite sul dopo, e poi chi rompe generalmente in politica paga, e i grillini sono aggrappati con le unghie e i denti a Palazzo Chigi. Quando arriverà, Salvini sa che i suoi sono pronti, anzi: non vedono l'ora. Ora è invece il momento per tentare una spericolata ricollocazione del partito, in vista delle Europee e di possibili Politiche: aizzare rabbia e ansia e indicare con toni sanguinolenti i nemici da colpire ha fin qui pagato, ma si è arrivati al fondo e la tendenza rischia di invertirsi. Lo squadrismo violento dei «gilet gialli» francesi allarma, e non a caso Salvini ne prende improvvisamente le distanze: «La violenza non è mai giustificata». Ci vuole un nuovo partito pigliatutto modello Dc, gommoso, rassicurante e pieno di buoni sentimenti. Così Salvini si mette a fare il buono: cita De Gasperi, Martin Luther King, Papa Francesco. Evoca ad ogni pie' sospinto Dio, la Madonna e «il santo presepe». Si rivolge al pubblico con un bizzarro: «Cari fratelli» e poi giunge le mani levando gli occhi al cielo: altro che Capitano, pare un curato di campagna. Non attacca nessuno, non nomina babau da bastonare, non insulta neppure la Ue, pur sfidandola a non perder tempo con «i decimali» e chiedendo «il mandato a trattare» sulla manovra (dal Viminale?).

Da domani, c'è da starne certi, scruterà i sondaggi per capire se il neo-buonismo paga.

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