Cronache

Il nobile Rossi di Montelera rapito dall'amore per la vita

Imprenditore e politico, ricco di passioni e ironia, non rinunciò al sorriso neanche in mano ai banditi

Il nobile Rossi di Montelera rapito dall'amore per la vita

Novembre. Di nuovo quel mese terribile del Settantatré. C'era la nebbia quella mattina del quattordici, attorno a villa Lidia di Pianezza. C'era l'aria tersa, ieri, tra i picchi della val di Rhemes Notre Dame. Gigi stava andando a caccia. Improvvisamente quell'aria pulita si è fatta tulle e nebbia, una scossa al corpo, il cuore ferito, infarto. Luigi «Gigi» Rossi di Montelera non ha avuto il tempo di reagire. Ma ha capito. Come non ebbe il tempo di reagire ma intuì quello che gli stava accadendo. Rossi di Montelera non era solo nella battuta di caccia, non è mai stato veramente solo da quel giorno lontano e sempre presente nella memoria sua e di tutta la famiglia. Era il quattordici di Novembre e lui, ventisettenne, laureato in legge alla facoltà di Torino del tremendo rettore Allara, aveva assunto il ruolo di responsabile degli affari esteri della casa di vermouth e liquori, la storica Martini&Rossi. Luigi Rossi, liquorista torinese, era entrato in quella società creata nel milleottocentoquarantasette da quattro piemontesi Michel-Re-Agnelli-Baudino ai quali si erano poi affiancati Teofilo Sola e Alessandro Martini e, subito dopo, Luigi Rossi. La ditta prese così spazio e mercato in Italia e nel resto del mondo, diventando fornitrice ufficiale delle case reali e dell'imperatore del Giappone, al punto che Teofilo Rossi, figlio di Luigi, nel Novecentoundici, venne nominato da re Vittorio, conte di Montelera. Luigi appartiene alla quarta generazione, da giovane universitario fu rappresentante del movimento monarchico Viva Verdi, per i compagni di studi era Luigino, per la madre Nicoletta e il padre Napoleone, Gigi. Quella mattina di novembre del Settantatré, uscì di casa per andare a giocare a tennis al dopolavoro ferroviario di corso Rosselli, a Torino.

Dopo tre quarti d'ora risalì sulla sua Bmw per dirigersi verso lo stabilimento di Pessione. I banditi lo intercettarono lungo corso Maroncelli, gli tagliarono la strada, gli intimarono di scendere dalla vettura, gli avvolsero il capo con una coperta, lo nascosero tra i sedili della loro auto e filarono verso la Lombardia. La tana scelta stava in una cascina di via Clavenzano a Treviglio, dove i Taormina, Francesco, Giuseppe, Giacomo e Giovanni, i quattro fratelli della banda siciliana di rapitori, erano proprietari di un appezzamento di centoventi pertiche. Luigi Rossi di Montelera venne calato da un cunicolo, sotto la stalla dei bovini, lo stanzino misurava due metri per due per un'altezza di centosessanta centimetri, Gigi era alto un metro e ottanta. Lo incatenarono prima per la mano sinistra e poi, su richiesta del sequestrato, alla caviglia. Non usarono mai violenza, anzi ne assecondarono le richieste, otto bottiglie di champagne e otto di whisky, come rivelò, con ironia imprevista ma tipica dello stesso Luigi di Montelera: «Chiesi di farmi avere i prodotti della concorrenza». Restò prigioniero per centotrenta giorni, gli uomini della finanza lo trovarono e liberarono, barbuto e smagrito, giovedì quattordici marzo del Settantaquattro.

Le ore e i giorni furono di angoscia in un tempo in cui i sequestri di persona riempivano le storie d'Italia: Panattoni, Maccioni, Cannavale, Torielli. La prima rata di quattrocento milioni, sulla richiesta di un miliardo e mezzo, era già pronta per essere consegnata. Luigi tornò una volta sola in quel luogo buio e lercio, si calò di nuovo per uscirne in fretta. La cascina venne demolita per i lavori della ferrovia di cui lo stesso Montelera era presidente. Quell'evento drammatico non mutò lo spirito del nobile piemontese. Il suo impegno in azienda proseguì anche con il passaggio alla Bacardi, di cui era presidente così come della General Beverage Europe. Analogo impegno in politica, per la Democrazia Cristiana, di cui fu rappresentante in parlamento dal Settantasei al Novantadue e sottosegretario all'economia nei governi Goria e De Mita, prima di dedicarsi completamente all'attività imprenditoriale e riservando il tempo alle sue passioni, le escursioni in montagna (nel periodo militare, da alpino, cadde in un crepaccio) e la caccia. Ieri mattina, come nel novembre del Settantatré, nulla faceva presagire a una svolta improvvisa della vita. Come una coperta ad avvolgergli il volto, poi, il buio improvviso. Questo rapimento non ha banditi.

E non avrà liberazione.

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