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Noi chiusi in casa, ma conte vada a casa

Non siamo al lockdown materiale, ma ci stiamo avvicinando a grandi passi, e comunque siamo a quello psicologico

Noi chiusi in casa, ma conte vada a casa

Non siamo al lockdown materiale, ma ci stiamo avvicinando a grandi passi, e comunque siamo a quello psicologico. Quello «state in casa» pronunciato con tono solenne l'altra sera dal ministro Speranza e ripetuto ieri dal premier Conte suona come un preavviso di coprifuoco generale. Ma se noi dobbiamo stare in casa, chi ha gestito le operazioni in modo così fallimentare dovrebbe fare altrettanto, cioè andare a casa e restarci.

Una crisi di governo in piena emergenza non è certo il massimo, anzi sarebbe una sconfitta nella sconfitta. Ma anche continuare a dare la responsabilità di ciò che accade agli italiani e negare la propria è una tattica non più sostenibile. Hanno voluto i pieni poteri? Che li usino, in un modo o nell'altro, senza furbizie mediatiche e tatticismi politici.

Sia chiaro, nessuno pensa che la pandemia sia colpa di Giuseppe Conte, ma la sua gestione traballante e ondivaga sì. E ora pure la fuga del governo che con l'ultimo decreto ha lasciato Regioni e sindaci senza ordini: fate un po' quello che volete è il senso - alla peggio vedetevela con le prefetture. Anche i partiti che compongono la maggioranza sono in stato confusionale e bipolare: a Roma predicano concordia con le opposizioni per senso di responsabilità, nelle Regioni guidate dal centrodestra applicano una opposizione violenta e demagogica.

Se non è un nuovo 8 settembre (quello del '43 con il re in fuga da Roma e l'esercito senza ordini allo sbando) poco ci manca. Se ne è accorto anche una vecchia volpe della politica, Pierferdinando Casini, che ieri intervenendo in Senato ha fatto un appello «se non ora quando?» per «un patto di consultazione permanente tra maggioranza e opposizione».

Mi pare una buona idea per cercare di salvare il salvabile, ma non credo ci siano le condizioni per farlo. Non finché, solo per fare un esempio, Pd e Cinque Stelle non si scuseranno con la Regione Lombardia per aver attaccato e infangato l'ospedale Covid allestito in due settimane da Bertolaso con i soldi dei privati (anche di voi lettori) nei padiglioni della Fiera di Milano: «Una cattedrale nel deserto», dicevano. Ieri la struttura, pensata proprio per una eventuale seconda ondata, ha aperto ed è pronta a entrare in funzione. Giuro che avremmo preferito aver torto nel volerla e difenderla.

Ma avevamo ragione.

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