Politica

«Noi italiani combattiamo l'Isis nell'inferno di bombe a Raqqa»

Due dei 4 connazionali arruolati tra i miliziani curdi raccontano la loro esperienza: «Non ci prenderanno vivi»

«Q uando i proiettili zippano vicino alla testa ti butti per istinto a terra, ma il sibilo vuol dire che non sei stato colpito. I colpi di mortaio li senti partire e non sai mai se ti piombano addosso o ti passano sopra. Alla fine ti abitui». In un'abitazione abbandonata, che segna la prima linea, comincia così l'esclusivo racconto di guerra di due italiani, che combattono lo Stato islamico a Raqqa al fianco dei curdi. Niente nomi se non quelli di battaglia. Cekdar Agir, che in curdo vuole dire «combattente e fuoco» è un anarchico di Torino di 41 anni, baffoni biondi e occhi azzurri. Botan viene anche lui dal Nord Italia ed ha 30 anni. La famiglia è all'oscuro che combatte in Siria e per questo non vuole farsi fotografare a volto scoperto. In guerra da 8 mesi sono due dei quattro italiani sul fronte di Raqqa. Negli ultimi anni hanno combattuto fra le fila dell'Ypg, le Unità di protezione popolare curde nel Nord della Siria, una ventina di connazionali.

«Sono tendenzialmente di sinistra, ma politica non l'ho mai fatta - spiega Botan, l'italiano più giovane - Non volevo essere uno spettatore da tv dei conflitti, ma vedere con i miei occhi il lato oscuro del mondo. Per questo mi sono arruolato in difesa del popolo curdo oppresso da sempre e per combattere lo Stato islamico, un'organizzazione terroristica, che minaccia non solo queste terre ma pure l'Europa».

Il compagno di avventura anarchico, convinto sostenitore della «rivoluzione curda in difesa di un popolo senza patria e diritti» occupava le case a Torino come squatter e ha sul collo una condanna non definitiva nel processo per i disordini No Tav. «La molla è stata la nascita dello Stato islamico. Ho visto le macerie di Kobane (la città martire curda quasi conquistata dalle bandiere nere nel 2014, ndr) e l'impatto è stato forte - spiega l'italiano che sostiene di occuparsi soprattutto di logistica - Mi sono chiesto, cosa posso fare? E così ho deciso di arruolarmi. La spinta ideologica conta, ma c'è anche l'impatto emotivo di quello che vivi sulla tua pelle».

Per il volontario più giovane il battesimo del fuoco arriva a Tabqa, durante la conquista della strategica diga, che ha aperto le porte all'offensiva su Raqqa: «Ci hanno attaccato all'improvviso e non abbiamo esitato un attimo a rispondere al fuoco. Li ho tirato contro un razzo Rpg. Non ne faccio un vanto, ma dopo la battaglia mi sono detto: o noi o loro».

Botan in Italia ha fatto l'operaio edile, l'intrattenitore di turisti in montagna ed il volontario con la protezione civile in un recente terremoto. «Quello che temo di più sono i cecchini e le mine perché possono essere ovunque oppure i droni dell'Isis che ci sganciano delle granate sulla testa» ammette il combattente italiano mentre procede con i ventenni curdi sul fronte occidentale di Raqqa. «Il nostro comandante è saltato su una mina dilaniandosi le gambe, ma il compagno vicino a lui è morto - racconta l'italiano - Io stavo spostando un mezzo a causa di un'esplosione ed un cecchino da 700 metri ha centrato il parabrezza. Per pochi centimetri non mi ha colpito». Quando lancia i razzi con il bazooka russo Rpg usa i filtri delle sigarette come rudimentali tappi per le orecchie.

Botan racconta che nei combattimenti per arrivare a Raqqa un volontario italiano è stato ferito. «Il suo gruppo stava avanzando alle 4 del mattino con la luce della luna - ricorda - Da un edificio hanno visto le fiammelle dei kalashnikov sprigionate dalle raffiche. Un proiettile l'ha colpito trapassandogli il braccio. Sul primo momento ha sentito solo un forte calore e cercava di imbracciare la mitragliatrice, ma non ce l'ha fatta. La carne era squarciata e buttava sangue». Il braccio adesso è a posto e l'italiano continua a combattere.

I due connazionali in prima linea con i curdi si infilano nelle brecce aperte nei muri per passare di casa in casa. «La metà degli internazionali che combattono in Rojawa (la regione autonoma curda nel Nord della Siria, ndr) sono ex militari che hanno servito nei marines o nella Legione straniera - fa notare l'anarchico torinese - Prima pensavo fossero invasati stile Rambo, ma ero prevenuto. I francesi sono venuti a combattere per vendicare gli attacchi del terrore di Parigi e Nizza». Attorno a Raqqa sono una cinquantina i volontari stranieri impegnati contro le bandiere nere. All'inizio quelli giunti dall'Italia erano uniti contro il Califfato sotto la bandiera del gruppo «Azione antifascista».

Per arrivarci basta compilare un modulo online e acquistare un biglietto aereo per il Nord dell'Irak dove i passeur ti portano in Siria. I curdi addestrano gli stranieri per un mese nell'«accademia», una base non solo per corsi sull'uso delle armi, ma per motivare i volontari.

I seguaci del Califfo odiano gli internazionali e hanno fatto scempio dei corpi di un canadese ed un inglese uccisi in battaglia. «Abbiamo visto il video di come facevano a pezzi i cadaveri a calci, che orrore - sbotta il volontario italiano più giovane - Al 98% non ci prenderanno mai vivi». A Raqqa gli internazionali hanno già perso sei uomini nelle prime settimane di assedio, ma Botan non ha dubbi: «Sapevamo prima di prendere l'aereo, che sarebbe stato rischioso.

Combattiamo per quello in cui crediamo cercando di riportare la pelle a casa».

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