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«Da noi si fa all'asilo: musica classica e teatro»

La psicologa: «Educando al bello si aiutano sensibilità, attenzione e linguaggio»

Enza Cusmai

«Ma questa è la scoperta dell'acqua calda». Zaira Cattaneo, docente di psicobiologia e psicologia fisiologica all'università Bicocca di Milano sorride all'iniziativa del Metropolitan di New York.

Dottoressa, la ritiene un'iniziativa poco originale?

«Diciamo che quello che fanno al Met è tutto sommato quello che succede nei nostri asili nido dove la musica, sia classica sia moderna, viene regolarmente fatta ascoltare ai bambini anche piccolissimi. E a 18 mesi si organizzano pure gli spettacolini con gli attori che interagiscono con la giovanissima platea».

E i piccoli spettatori come reagiscono?

«Dopo il primo anno di vita il bimbo è in grado di seguire anche una sorta di trama: questo succede perché comincia a parlare e ha più dimestichezza con il linguaggio».

Se pensiamo al teatro e ai neonati ci domandiamo come fanno al Met a farli stare seduti e zitti.

«Infatti non succede. Gli autori spiegano che lo spettacolo è interattivo: il bambino gioca con l'attore e il cantante. Non a caso in ogni spettacolo si accettano al massimo 25 bambini».

Ma un bambino di 6 mesi cosa può capire?

«Non riesce a seguire uno spettacolo, è incapace di seguire una trama ma è attratto da stimoli salienti. Per esempio, il volto umano cattura la sua attenzione. E poi ascolta la musica».

Quanto fa bene far ascoltare ai neonati le melodie?

«Moltissimo. L'attività del cervello si vede anche attraverso gli occhi e studi su bambini di sei mesi hanno confermato che l'ascolto della musica va ad attivare le stesse aree cerebrali del linguaggio».

Quindi il neonato diventa più precoce anche nel linguaggio?

«La musica contiene emozione, ritmo e qualcuno sostiene che può facilitare l'uso del linguaggio. Inoltre a 9 mesi i bambini sono in grado di discriminare il connotato emotivo della musica».

Cioè capiscono se la musica è allegra o triste?

«Esatto. I bambini diventano più sensibili, più ricettivi».

Grazie solo alla musica?

«Non è che portare un bambino al Met lo trasforma in genietto. Ma chi si prende la briga di farlo, farà anche molto altro, cioè interagirà con lui in molte altre situazioni, quotidianamente: un'attitudine o un interesse viene spesso ereditato dal genitore e nella sua vita il bambino tenderà a ricercarlo».

Dunque non bisogna essere genitori distratti.

«I primi mesi del neonato sono fondamentali. E bisogna interagire con loro. Lo sviluppo cerebrale vive il suo periodo più plastico dalla nascita fino alla pre-adolescenza. A 7 mesi un bimbo già comprende alcune parole e a 8 mesi ne capisce una cinquantina. A 18 mesi le parole diventano 200».

E il teatro quando cattura l'attenzione dei più piccoli?

«A 9-12 mesi sono in grado di condividere l'attenzione con un'altra persona su un oggetto esterno: questo permette il passaggio dall'interazione adulto-bambino a quella adulto-bambino-oggetto della comunicazione».

Ma le favole servono anche ai neonati?

«Sì, sono un veicolo di attenzione del genitore verso il bambino, si inizia a dosare la voce per trasmettere le emozioni e si insegna al bambino a riconoscerle».

Nei primi mesi incamerano nel cervello anche le parole?

«Immagazzinano le parole ma soprattutto i bimbi sorridono riconoscendo la persona familiare grazie all'interazione faccia a faccia dove ci si guarda, si vocalizza insieme.

Si chiama periodo del sorriso sociale».

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