Politica

Le nomine del Csm: in subappalto

Toghe in rivolta per la scelta dell'organo di esternalizzare (pagando) la selezione dei capi

Le nomine del Csm: in subappalto

Che la scelta dei magistrati destinati a coprire i posti chiave della giustizia italiana non sia esattamente basata sul merito lo si sospetta da tempo, e di recente l'ha anche scritto un ex pm non sospettabile di berlusconismo, Bruno Tinti, che ha parlato di un sistema «squallido e clientelare». Ebbene, in questo contesto già opaco fa irruzione una novità che non pare destinata a diradare le nebbie: il subappalto da parte del Consiglio superiore della magistratura delle pratiche di valutazione degli aspiranti ai posti «direttivi e semidirettivi», cioè alle poltrone da cui si comandano procure e tribunali di tutta Italia. Una trovata talmente bizzarra da avere scatenato in questi giorni un'ondata di polemiche sulle mailing list di discussione interna alle toghe.

La motivazione ufficiale del provvedimento da parte del Csm è il sovraccarico di lavoro che impedirebbe alla commissione «incarichi direttivi» del consiglio di fare fronte in tempo utile a tutti i buchi scoperti negli organigrammi. Già l'anno scorso si era deciso di affidare a magistrati non eletti nel Consiglio il compito di stendere le motivazioni delle scelte: ma era un lavoro successivo alla decisione presa dal Csm, l'unico organismo cui la Costituzione assegna il potere di «assunzioni, assegnazioni, trasferimenti e promozioni». Invece da quest'anno il Csm ha appaltato all'esterno la relazione dei pareri preventivi sulle candidature, destinati a pesare in modo decisivo sul provvedimento finale della commissione. Ed è stato questo a scatenare la polemica, anche se il provvedimento è stato varato dal plenum con un solo voto contrario, quello del consigliere togato Aldo Morgigni.

A risultare indigesto è non solo il compenso di 280 euro per ogni parere che viene pagato ai 17 «collaboratori» della commissione, ma anche la assoluta mancanza di trasparenza sui criteri con cui vengono scelti. Di fatto un potere cruciale viene passato nelle mani di giudici non eletti, ma scelti dalle correnti che dominano il Csm. E a peggiorare la situazione, c'è la provenienza dei prescelti, quasi tutti nelle stanze del potere romano.

Scrive Riccardo Targetti, procuratore aggiunto a Milano: «Come mai sono tutti al lavoro in Cassazione oppure sono di Roma o di Napoli? Criteri di scelta? Manco a parlarne. Motivazione? Semplicemente assente. Risultato: siamo di fronte a una cooptazione amicale/correntizia». A suscitare le proteste della base è anche la scelta del Csm di approvare la delibera quasi di nascosto, senza comunicati pubblici: «Ti massacrano di mail inutili - scrive il pm torinese Ciro Santoriello - ma questa delibera non ce l'hanno comunicata. Guarda il caso cosa ti combina...». E la sua collega milanese Silvia Perrucci: «Ma che bella notizia. E dove sono i solerti consiglieri che ti mandano sempre mail di informazione?».

Il giudice pisano Donato D'Auria sceglie la strada del sarcasmo: «I criteri di selezione? A una analisi superficiale e maliziosa risultano incomprensibili. Ma certamente saranno quelli del merito e dell'estraneità alle correnti».

E davanti alla singolarità della iniziativa del Csm c'è chi paventa che le nomine subappaltate all'esterno possano venire impugnate e annullate, generando un caos interminabile: «Mi pare che le delibere conseguenti siano viziate e che i contenziosi amministrativi possano avere buon esito», scrive Anamaria Gregori, giudice ad Ascoli Piceno.

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