Cronache

Non si spegne la vita in nome della legge

Non si spegne la vita in nome della legge

Non sanno nulla di come si inarca per rubare il sorso d'aria che serve a vivere. Non sanno nulla di quanto poco prema e pesi sul tuo braccio quando ce lo stendi sopra per coccolarlo o nutrirlo o farlo dormire. Non conoscono il tepore morbido che esce da quel corpo sempre più piccolo e non hanno mai sentito quella che un giorno sarebbe stata una voce. La sua voce. Non conosceranno la nostalgia dopo di lui.

Eppure sono «loro» a decidere che può morire. «Loro» sta per qualcuno, là a Strasburgo, «loro» sta per la Corte Europea, da chiunque essa sia formata. Potrebbero essere giraffe, pupazzi, pirati, chiunque. È un chiunque che non ha mai visto Charlie, che non lo ha mai aspettato, immaginato, desiderato. Un chiunque che non ha mai fantasticato sul suo viso, che non ha mai impastato se stesso con lui, che non lo ha mai respirato e baciato. Un chiunque che è un'entità astratta per i genitori di Charlie che mai avrebbero voluto interrompere le cure al loro bambino.

È crudele, violento e assurdo che sia «qualcuno» a migliaia di chilometri di distanza da quella culla, da quell'ospedale, dall'Inghilterra tutta a decidere cosa fare della vita di un neonato. Imponendo ai suoi genitori di abdicare, passando sopra le loro teste, marciando su di loro calpestandoli e annientandoli in nome della legge, della giustizia, della civiltà e dei diritti umani. «Staccare la spina» è stato quanto deciso da qualcuno, da qualche parte a Strasburgo. Per redimere le discussioni tra i tribunali britannici e l'opinione pubblica. Mettendo fine alla «faccenda» e alla vita di Charlie. Quando e come lo hanno stabilito loro. In nome della legge. Come se potesse essere la legge a immaginarsi la mamma di Charlie dietro al vetro della stanza, a guardare suo figlio che smette di respirare, a immaginarselo diventare freddo, perdere la forza dei vagiti e andarsene via, da qualche parte. Perché così ha deciso la Corte europea di Strasburgo. E perché così noi abbiamo dovuto lasciar fare.

A dimostrazione che certe volte, nessun animale si avvicina al nostro peggio.

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