Cronache

Non solo "street" o "slow" c'è anche il "luxury food"

Coldiretti mostra i dieci prodotti più cari del made in Italy a tavola. Perché non si vive soltanto della retorica del pauperismo alimentare

Non solo "street" o "slow" c'è anche il "luxury food"

L o street food ci piace, ci mancherebbe. Non pratichiamo ma troviamo necessario pure il fast , così politicamente corrotto (con la «o») per i seguaci slow del cibo politicamente corretto (con la «e») ma in fondo davvero democratico. Il rapporto qualità-prezzo è ormai diventato uno strumento di eco-gastronomia imprescindibile per evitare sòle . Il contadino della Val Brembana che produce cento coccolatissime caciotte ogni anno ha tutta la nostra solidarietà. Il vino del contadino bevetevelo voi. Il parla come mangi è massima di vita fondamentale certamente di più del mangia come parli, a giudicare dalle sgrammaticature di certo New Italian .

Epperò. Epperò ogni tanto abbiamo il diritto di stancarci della retorica del pauperismo alimentare a tutti i costi, del nutrire il pianeta, dell'evitare lo spreco, del bio, del consumo consapevole. Concetti sacrosanti, e meno male. Ma c'è anche dell'altro. Pensate a questo: il made in Italy nelle auto, nella mode, nel design è fatto di lusso, di prezzi stratosferici, di edizioni limitatissime che il mondo si contende. Perché dovrebbe fare eccezione quello della tavola, non certo il meno amato tra tutti? Perché dobbiamo vergognarci se certi alimenti della nostra terra sono roba da ricchi?

Ci ha pensato Coldiretti. Che ieri all'Expo ha aperto lo scrigno dei prodotti più preziosi del nostro Paese mettendo in mostra dieci prodotti superpreziosi, che costano come gioielli: il tartufo, il culatello, lo zafferano, la bottarga, l'Aceto balsamico tradizionale di Modena dop, pepita da non confondere con quello con cui alcuni condiscono l'insalata, contenti loro. E poi l'essenza di bergamotto, che altro che Chanel numero 5, con buona pace di Marilyn. L'olio extravergine d'oliva prodotto in un fazzoletto di Romagna con una rarissima cultivar (che nel mondo dell'olio è il corrispondente del vitigno nel vino). Perfino il caviale di lumaca, da gasteropodi alimentati soltanti con ortaggi bio e le cui uova sono raccolte rigorosamente a mano (ma almeno non c'è il rischio che la bestia scappi). E alla fine un paio di chicche queste sì davvero snob: lo spumante reso scintillante da una grattatina di oro alimentare a 23 carati. E quello la cui etichetta è impreziosita da cristalli di Swarowski.

Di queste due avremmo forse fatto anche a meno, ma tutti gli altri cibi del Pantheon della Coldiretti devono renderci orgogliosi. Sono prodotti resi straordinari da materie prime impareggiabili, da tecniche secolari, da un know how non fotocopiabile, da caratteristiche pedoclimatiche non replicabili, da un uso del fattore-tempo che solo gli artisti conoscono. Certo, non sono per tutte le tasche.

Ma nemmeno una Ferrari lo è, e questo non ci impedisce di ammirarla quando ne vediamo una.

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