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La nuova sparata di Grasso: "Via le tasse universitarie"

L'ultima del leader di Leu: recuperiamo quei fondi da chi inquina. Fratoianni: paghino i figli dei ricchi

La nuova sparata di Grasso: "Via le tasse universitarie"

Alleluia alleluia: sbarca in Italia il modello tweed di Licata, con quattro anni d'età in più e una ben più considerevole esperienza professionale, quella di procuratore antimafia e collaboratore giovane del grande Falcone. Non un politico di professione come Jeremy Corbyn, quindi, e questo potrebbe essere considerato anche un vantaggio se non fosse che Pietro Grasso, scaraventato dalla poltrona del Senato a quella di frontman di una sinistra pedante e litigiosa, sbrindellata e arrugginita, ha poco tempo per ragionare.

Si può nutrire una qualche indulgenza, perciò, se il leader di Leu si sia dovuto buttare a pesce sul modello di riferimento. Spera nello stesso successo, visto che nell'ultimo congresso del Labour erano tutti stregati, pugno chiuso, a cantare l'inno The red flag, stralunata e soporifera versione di Bandiera rossa che i laburisti inglesi dal 1889 cantano sulle note di Oh Tannenbaum, canzoncina natalizia dei bimbi tedeschi. Lo slogan ufficiale è traduzione letterale di For the Many not the Few («per i molti non per i pochi»). La prima proposta di campagna elettorale è tratta paro paro dal cavallo di battaglia di Corbyn, sia pure con una strizzata d'occhi al renzismo (che a sua volta copia l'unico originale, Berlusconi). Così, il diritto all'istruzione e all'università per tutti del leader inglese, per Grasso è diventato: «Aboliamo le tasse universitarie, una misura concreta che costerebbe solo 1,6 miliardi...».

La sala dell'Ergife nella quale Leu si è riunita per procedere al programma e alle norme per le candidature accoglie con un applauso stupito e felice, qualcuno si alza pure proponendo una standing ovation, ma di certo si tratta di qualche «fuori corso» a oltranza. Che sia una proposta tirata fuori dal cilindro all'ultimo momento, per dare qualcosa in pasto alla stampa, si deduce dalla confusione tra gli stessi proponenti. Per Nicola Fratoianni è ora che anche i «figli dei ricchi si carichino il peso delle tasse universitarie dei figli dei poveri»; per Pippo Civati è solo il segno che «si riparte dalla cultura, dall'istruzione e dalla ricerca»; per l'ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, restio com'è all'argomento, si tratta invece di «un tema marginale, una metafora per dire dell'importanza del diritto allo studio, anche perché le tasse universitarie sono già così basse (sic!, ma qui si evince una chiara deformazione di ceto). Non è così però per Grasso, che chiarirà come la misura sia «facilmente sostenibile se viene sottratto un decimo dai sussidi che il Ministero dell'Ambiente concede alle aziende e alle attività dannose per l'ambiente».

Grasso sostiene d'essere l'unica alternativa credibile, visto che «Renzi vuole abolire il canone Rai dopo averlo messo in bolletta» e «Berlusconi ne ha dette così tante in 25 anni, ma siamo cresciuti e non crediamo più alle favole». Leu, dice, vuole «abolire il precariato» smantellando il Jobs Act e lanciare una «lotta senza quartiere all'evasione fiscale». Per i candidati non ci si accontenterà della Severino, ma del proprio codice etico, perché «proporremo persone rispettate e rispettabili». Limite ai due mandati, con «deroghe limitate e motivate» (Bersani e D'Alema). Di alleanze si parlerà dopo il 4 marzo, ripete. Bersani decritterà: «Aperti e inclusivi sì, ma non parleremo con la destra per una questione di igiene mentale».

Si guarda sul versante grillino, quindi, ma non può essere esclusa l'intesa con un Pd debitamente ridimensionato e de-renzizzato.

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