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Nuovo dietrofront di Matteo: "Linea dura? No, buon senso"

Il ministro si scontra con le difficoltà dei rimpatri. E da Pozzallo ora frena: "Lavoreremo per evitare le partenze"

Foto d'archivio
Foto d'archivio

Contrordine, compagni: «Sui migranti non terremo una linea dura, ma di buon senso». E ancora: «Siamo qui per costruire, non per smontare ciò che funziona».

Parla a Pozzallo, dove c'è uno degli hotspot più «caldi» d'Italia. Parla in mezzo ad una piccola folla di migranti, che lo applaudono. E parla per la prima volta da ministro degli Interno: la scena di ieri è altamente simbolica, per capire come sia stato rapido il testacoda per un Matteo Salvini che, di colpo, scopre quanto sia facile lanciare proclami e promesse tonitruanti («Basta immigrati», «Manderemo tutti a casa loro», «Chiuderemo i porti alle navi», «Cacceremo le ong» eccetera) nei comizi della sua eterna campagna elettorale, e quanto sia complesso, delicato, lento e difficile ritrovarsi a gestire la realtà, per lui tutta nuova, del governo.

E già: all'improvviso, il Salvini che prometteva guerra contro i migranti e azzeramento di tutte le «fallimentari», a suo dire, «politiche buoniste» dei governi precedenti, scopre con stupore che è meglio «non smontare ciò che funziona», sottintendendo che, dunque, ci sono cose che funzionano nella gestione del fenomeno immigrazione dei suoi predecessori, e che vanno preservate. Scopre che non serve la «linea dura», ma il «buon senso». Scopre che «la vita è sacra, ogni vita», e che dunque bisogna salvare i poveretti che rischiano di affogare. E scopre, udite udite, che il suo piano, sbandierato ad ogni manifestazione o comparsata tv, di prendere tutti i «clandestini» e spedirli altrove, «fuori dal nostro paese», è irrealizzabile: a parte i costi enormi, nessuno può essere rimandato in un paese non disposto ad accoglierlo.

Così, non resta che la via diplomatica già lungamente perseguita dai suoi predecessori: «Andrò a parlare con il governo tunisino», annuncia, e con quelli degli altri paesi di provenienza. Quanto alla Libia, «ci sono i problemi che conosciamo, e noi terremo buono ciò che ha fatto il governo precedente», riconosce, «perché comunque gli sbarchi si sono ridotti: non siamo fessi, continueremo su questa linea». Ecco qua: Salvini si acconcia a seguire le orme dei governi Renzi e Gentiloni, e a continuare sulla linea Minniti: «Non siamo fessi». E anche la promessa di cacciare tutti i migranti dagli «alberghi» (ossia dai centri di accoglienza) e di risparmiare «cinque miliardi» (ossia la stima massima prevista dal Def) finisce nel cestino. Anzi, «apriremo nuovi centri nelle regioni», fa sapere, anche in quelle del Nord che tante resistenze hanno fatto: li chiama «centri di espulsione», ma è solo una toppa sul buco, visto che le espulsioni non si possono fare, se non con il contagocce. Glielo hanno spiegato chiaro e tondo, come raccontava ieri il Corriere della Sera, nella sua prima riunione di lavoro al Viminale, venerdì sera. «Caro ministro - gli hanno detto i capi dipartimento del suo ministero - il blocco delle navi e i rimpatri di massa che lei ha annunciato non si possono proprio fare». Impossibile: «Senza il via libera dei paesi di origine non possiamo mandare via nessuno». Né si può vietare l'attracco alle navi delle Ong.

A Salvini dunque non resta che ripetere ciò che spiegava Renzi ai suoi tempi: «Aiuteremo economicamente i paesi di origine, per evitare le partenze sui barconi». Certo, nelle piazze i toni restano gli stessi: «Clandestini, è finita la pacchia, fate le valigie», grida il ministro a Vicenza.

Ma è il primo a sapere che si tratta di fake news.

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