Economia

"Il nuovo falso in bilancio punisce le nostre aziende"

Spada, membro di collegi sindacali di importanti società, critica le scelte del governo sull'estensione della punibilità: "Un errore se non ci sono danni a terzi"

"Il nuovo falso in bilancio punisce le nostre aziende"

Milano Roberto Spada è partner dello studio milanese di commercialisti Spadacini, un osservatorio privilegiato sulle imprese e i loro problemi finanziari. Che pensa della nuova legge sul falso in bilancio?

«Premetto che il testo di legge non c'è ancora, quindi possiamo solo commentare l'impianto normativo, così come è stato presentato dal ministro Orlando nelle anticipazioni riportate dai giornali. Comunque, alcuni problemi emergono già, a cominciare dall'estensione della perseguibilità: il falso in bilancio verrà cioè punito d'ufficio, anche quando non ci sia danno verso terzi, come i soci o i risparmiatori».

Una decisione che ha suscitato molte polemiche.

«Sì, perché a questo punto basta un'informativa incompleta in un bilancio e si diventa perseguibili. Il punto è che allargare così l'area di punibilità del reato vuol dire esasperare la normativa in un contesto, come quello italiano, già difficile per le aziende, penalizzate nei confronti della concorrenza estera».

I sostenitori della riforma dicono però che è una scelta fatta per rafforzare il contrasto alla corruzione.

«Per questo ci sono già le leggi e le pene previste. Ed è vero che il falso in bilancio può essere usato per coprire, ad esempio, il pagamento di tangenti: ma questo si scopre dopo, sulla base di indagini. Riempire invece i tribunali italiani, già intasati di lavoro al limite delle loro possibilità, con ulteriori cause mi sembra francamente fuori luogo».

Quando secondo lei si può parlare di reato in questa materia?

«Attenzione: non sono certo totalmente contrario all'inserimento nella riforma del reato di falso in bilancio. Ma deve trattarsi di fatti gravi e/o che abbiano provocato un danno a terzi, come dicevamo all'inizio. In questo senso, era decisamente migliore la prima ipotesi che era stata formulata».

Era prevista una distinzione tra società quotate e non quotate, giusto?

«Sì: la procedura d'ufficio era prevista solo per le società quotate. Che giustamente devono essere più controllate, perché hanno una vasta area di stakeholder, sia forti che deboli, che possono essere danneggiati. Per le società non quotate, invece, era richiesta la querela - quindi l'esistenza di un danno- per procedere all'azione legale».

Un'ipotesi ormai tramontata, a quanto pare, mentre si parla di un allungamento dei tempi di prescrizione.

«Questo è però un tema che fa parte della riforma del codice penale. In ogni caso, vorrei ricordare che stiamo parlando di una legge che ha appena iniziato il suo iter e sono fiducioso che possano esserci delle modifiche. Certo è che, come al solito, difficilmente si andrà verso una semplificazione».

A questo proposito, si allarga la protesta degli imprenditori contro un'altra norma che li penalizza, lo «split payment» che cambia le regole sull'Iva: è d'accordo?

«Sono d'accordo con la protesta. Molti imprenditori che lavorano con la Pubblica amministrazione - notoriamente ritardataria - grazie al credito Iva hanno garantito liquidità e ossigeno finanziario alle loro aziende attraverso operazioni perfettamente lecite, come la cessione pro soluto del credito, e adesso non potranno più farlo, perché la norma introdotta dalla legge di Stabilità impone alle amministrazioni di girare direttamente all'erario l'Iva sui pagamenti ai fornitori».

I sostenitori della norma dicono, anche qui, che serve per evitare operazioni illegali, tipo l'inserimento di fatture false.

«Lo Stato deve punire i reati, non le aziende.

Tanto più che sui reati Iva ci sono già norme severissime e soglie di punibilità basse».

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