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Nuovo incubo alle urne: lo spread rialza la testa

Crescono i tassi del Btp. E i mercati temono deflazione, terremoto e instabilità post voto

Nuovo incubo alle urne: lo spread rialza la testa

Roma - Lo spread tra i Btp e il Bund tedesco a dieci anni ieri ha chiuso a quota 157 punti (1,75 di rendimento contro lo 0,18%). Si tratta del valore più alto dalla scorsa estate quando le emissioni italiane soffrirono a causa della Brexit. Indicativa anche la crescita dello spread tra i titoli decennali italiani e gli omologhi Bonos spagnoli che si è attestato a 47 punti ritoccando il massimo da febbraio 2012.

Grosse nubi, pertanto, paiono addensarsi all'orizzonte per il governo Renzi e per la sua gestione della politica economica che, unita all'incertezza sugli esiti del referendum (No in vantaggio sul Sì 37,6% a 34,7% per il sondaggio Emg/TgLa7), determina l'atteggiamento negativo da parte degli investitori. Questi ultimi, infatti, vedono l'Italia come il principale candidato all'uscita da Eurolandia secondo il sondaggio della tedesca Sentix diffuso ieri. Il 9,9% degli esperti interpellati ritiene più probabile l'Italexit, ha riferito Reuters, rispetto a quella della disastrata Grecia (8,5%), scalzata per la prima volta dal vertice sin da quando è iniziata la rilevazione (giugno 2012). Ecco, dunque, che persino la Spagna viene ritenuta più affidabile del nostro Paese, soprattutto da quando ha giurato Mariano Rajoy come premier.

Poiché Renzi ha legato la sopravvivenza del suo esecutivo alla consultazione, i mercati cominciano già a prezzare questa instabilità. E anche se è vero che la vittoria del No non cambierebbe nulla dal punto di vista economico, è pure evidente che il deterioramento dei rapporti con la Commissione Ue in seguito alla presentazione di una manovra tutta in deficit non fa che aumentare questa percezione. Soprattutto se consideriamo che, progressivamente, i mercati globali si indirizzeranno verso un contesto caratterizzato da tassi in rialzo. È vero che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha lasciato una porta aperta alla prosecuzione del Quantitative Easing anche dopo la scadenza naturale di marzo. Ma è altrettanto plausibile che gli operatori abbiano in qualche modo sperimentato, visto la giornata festiva caratterizzata da scambi ridotti, cosa potrebbe accadere quando questa fase di tassi bassi e acquisti di titoli governativi da parte delle banche centrali finirà. Gli investitori torneranno a concentrarsi sui fondamentali e quelli dell'Italia non sono buoni con un debito pubblico che veleggia molto vicino al 133% del Pil e con la spada di Damocle delle agenzie di rating Fitch e Dbrs che hanno abbassato l'outlook sull'Italia. Un declassamento, pertanto, potrebbe essere alle porte.

D'altronde, l'andamento negativo della produzione industriale e il clima deflazionistico non costituiscono ottime premesse per la crescita economica del 2017. Le tensioni con il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, potrebbero costare care a Renzi che se perdesse la consultazione referendaria potrebbe trovarsi anche nella spiacevole situazione di vedersi preclusi molti canali parlamentari per la costituzione di un governo di transizione per la gestione della sessione di bilancio e anche dell'emergenza terremoto.

«Silenzio assordante di Renzi in merito alla nostra richiesta di convocare immediatamente il Tavolo di coesione nazionale per condividere i prossimi passi in merito alla ricostruzione», si sono lamentati i capigruppo di Fi a Senato e Camera, Paolo Romani e Renato Brunetta.

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