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Il nuovo inizio di Israele. Sfida di un popolo felice ai predicatori dell'odio

Il "Rosh Ha Shana" è un momento di riflessione del Paese. Tra storici nemici e nuovi alleati

Il nuovo inizio di Israele. Sfida di un popolo felice ai predicatori dell'odio

Rosh Ha Shana, il capodanno ebraico, ha segnato ieri sera l'ingresso del 5779. Siamo un bel pezzo avanti nell'incredibile storia umana e nella storia ebraica. Ma quando entra l'anno nuovo cominciano subito, insieme al brindisi, alle benedizioni, alla mela intinta nel miele per significare prosperità e dolcezza, anche i pensieri. Infatti i giorni successivi, per una settimana intera, sono dedicati, fino a Yom Kippur, il grande digiuno caro al popolo ebraico, alla riflessione su se stessi, ai propri fallimenti, peccati, errori. In quel giorno poi Dio segnerà nel libro della vita chiunque abbia perdonato e si sia scusato. Israele naturalmente fa i compiti: cos'è andato bene, cos'è andato male, dove abbiamo sbagliato, cosa è stato giusto. E quindi, che cosa ne deriva per il futuro.

Quest'anno ha visto un duro attacco stampa al primo ministro, sulle indagini (non formalizzate) sul suo comportamento e quello della sua famiglia; sulla nuova Costituzione che dichiara Israele patria del popolo ebraico; sul ruolo della magistratura. Al di là delle drammatizzazioni politiche, è un dibattito tipico delle democrazie, sorprendente in un Paese in stato di guerra. Alla fine la guerra è stata evitata con prudenza e audace diplomazia sotterranea; l'economia cresce, i partiti religiosi, membri della coalizione, vengono tenuti a bada con concessioni cosmetiche. Alla fine l'opinione pubblica tiene in maggioranza per «Bibi», primo ministro dal 2009, e prima dal '96 al '99, e crescerebbe ancora se ci fossero elezioni.

Perché Israele rimane una stella nel firmamento della crisi mondiale, specie se si pensa al passato degli ebrei, all'antisemitismo rampante, al continuo attacco dell'Unione Europea, all'assedio armato che mobilita eserciti, terroristi, predicatori islamici e propagandisti sparsi nel mondo. Un esempio di cammino che non conosce ostacoli nel vento e nella tempesta. Al di là dei confini l'assedio si chiama Iran, Hamas, Hezbollah, Isis, e di tutti quelli che li sostengono, dal Qatar a Corbyn. A nord, l'Iran ha rafforzato la presenza armata in Siria che, con quella degli hezbollah, è il peggior pericolo esistenziale che Israele abbia affrontato: ormai ha un confine con il Paese che lo considera «un albero dalle radici marcite da distruggere». I bombardamenti sui convogli di armi diretti agli Hezbollah e contro strutture belliche è stata una costante dell'anno passato, se ne contano nel complesso 200. E a sud, sul confine di Gaza, Hamas ha oggi una strategia di massa, che prende di assalto i confini e brucia i campi coltivati con gli aquiloni. Abu Mazen ha visto quest'anno il tramonto della sua stella a seguito di una politica di odio antiamericano che non ha portato altro che guai ai palestinesi, e spende le sue ultime energie in una lotta a coltello contro di Hamas.

Ma l'Ufficio statistico nel suo rapporto annuale riporta che l'89% degli Israeliani è molto soddisfatto della propria vita. Nel 2018 il rapporto mondiale sulla felicità ha piazzato questo piccolo Paese all'11esimo posto su 156; l'aspettativa di vita da 69.7 anni nel 2000 è arrivata a 72.8 nel 2015. Le coppie hanno tre bambini a famiglia nonostante i religiosi osservanti siano il 21%, e nonostante certe fosche previsioni la crescita della popolazione araba non sta per sovrastare quella ebraica. Su 8 milioni e 907mila cittadini, in continua crescita, 6milioni e 625mila sono ebrei, un milione e 864mila arabi, 418mila di altre etnie. Nel campo della tecnologia e della medicina Israele è sempre di più la «startup nation». Non è tecnica, è filosofia: ingegnarsi nelle difficoltà sfruttando lo stimolo della battaglia per la sopravvivenza. Col contributo nella lotta contro il terrorismo, col quale sono stati evitati molti attentati in Europa e nel mondo, Israele ha conquistato l'ammirazione di molti Paesi.

È stato l'anno in cui Trump ha restituito a Israele il ruolo di amico privilegiato, in cui l'Iran è stato di nuovo visto come un pericolo atomico, in cui l'ambasciata americana Usa è stata trasferita a Gerusalemme, una svolta storica. È seguito il taglio dei fondi all'Unrwa, l'organizzazione dell'Onu che ha contribuito alla conservazione del conflitto portando da 500mila a 5 milioni i profughi palestinesi. Si sono aperti quest'anno nuovi rapporti con l'India, con la Cina, l'Africa e anche con Putin, per neutralizzare la possibilità di un contatto pericoloso in Siria. La presenza iraniana in Medio Oriente ha portato a favorevoli contatti con Egitto, Arabia Saudita, Emirati. È tempo in cui le dune del Mediorente cambiano forma.

La quantità di sabbia rimane la stessa.

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