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Il nuovo ordine mondiale torna al passato

Il nuovo ordine mondiale torna al passato

Prima di arrivare a Helsinki Donald Trump s'è tagliato tutti ponti alle spalle. Ha incrinato i rapporti con la Nato, ha puntato il dito contro un'Europa definita «avversaria», ha messo in dubbio il rapporto con Londra ed è arrivato a criticare il suo stesso «apparato» statale colpevole d' aver distrutto i rapporti con Mosca. Insomma ha fatto di tutto per sbarazzarsi di amici e alleati e privarsi del loro sostegno. Per molti è stata una mossa autolesionista con cui ha regalato un facile successo a un Vladimir Putin reduce dai successi dei mondiali di calcio. Ma l'obbiettivo di Trump non era vincere lo scontro bensì ridefinire le regole dell'ordine mondiale, riportandole a un rapporto ristretto tra «grandi» in cui i destini del pianeta tornano a essere decisi da due o tre grandi potenze e dai loro rispettivi leader. Trump punta insomma a ritornare ad un ordine mondiale semplice e lineare. Un ordine dualista, o al massimo trilaterale, in cui Washington concerta, discute o si scontra con Mosca e tuttalpiù con Pechino. Un ordine in cui non c'è più spazio per la zavorra multilateralista ereditata dall'era Obama. In questa visione la zavorra più fastidiosa in quanto politicamente indecisa, militarmente irrilevante ed economicamente antagonista è l'Unione Europea. Un'Unione Europea a cui Obama ha regalato la sensazione di poter contare, ma in cui Trump vede solo la proiezione di una Germania pronta allo scontro commerciale con gli Usa. Ed in questa visione altrettanto inutili, se non dannosi, sono gli alleati della Nato colpevoli di contrarre le spese militari nella convinzione di poter sempre contare sulla protezione della potenza americana. Ma altrettanto pericoloso è nell'ottica di Trump quell'apparato militare e industriale statunitense che innalza il livello dello scontro con la Russia rendendo impossibile il ritorno ad una visione dualista o al massimo trilaterale dei rapporti mondiali. Per questo alla vigilia di Helsinki Trump si è sbarazzato a colpi di twitter di amici e alleati e si presentato disarmato e solitario alla partita di scacchi con Vladimir Putin. Nella sua visione su quel ring non si giocava un partita, ma solo il primo e ininfluente round di una trattativa destinata a durare a lungo. E il segnale di come entrambi i duellanti non intendessero vincere, ma solo studiare le rispettive mosse è stata la questione siriana. Il palcoscenico bellico sui cui Obama era pronto a far vincere i ribelli jihadisti e Putin a tenere in piedi l'alleato Bashar Assad è diventato, nella nuova logica di Helsinki, il terreno comune su cui sperimentare l'approccio dualista per raggiungere un'intesa di pace capace di garantire non solo la sopravvivenza della Siria ma anche dei Paesi circostanti, Israele in testa. Una cosa è certa: nel progetto disegnato a Helsinki da Donald e Vladimir c'è poco spazio per comparse e comprimari.

Con buona pace di quest'Europa.

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