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Il nuovo "patto Gentiloni" che riavvicina i moderati

Il premier, con toni diversi da Renzi, rilancia il dialogo sulla legge elettorale. Brunetta: "Da noi responsabilità"

Il nuovo "patto Gentiloni" che riavvicina i moderati

La sentenza della Consulta sulla costituzionalità dell'Italicum si avvicina, il conto alla rovescia è ormai partito con l'udienza fissata per domani e la sentenza in arrivo al massimo entro il 10 febbraio, ma probabilmente prima. Una volta che la Corte Costituzionale avrà preso una posizione chiara la trattativa per la legge elettorale potrà partire. Il premier Paolo Gentiloni, ieri a Che tempo che fa, ha auspicato «un dialogo tra le forze parlamentari che consenta di avere leggi elettorali per Camera e Senato possibilmente utilizzabili e non troppo disarmoniche». Per il momento si procede con abboccamenti, ballon d'essai fatti circolare sui giornali per saggiare le reazioni e con la costante riproposizione mediatica di una sorta di Patto del Nazareno, questa volta a applicato al presidente del Consiglio in carica.

In sostanza il tormentone è quello di un nuovo «Patto Gentiloni», un'intesa cordiale tra Silvio Berlusconi e il premier. Di sicuro i toni meno gridati adottati dal presidente del Consiglio favoriscono il dialogo e un rapporto civile, in particolare con Gianni Letta con cui il massimo inquilino di Palazzo Chigi tiene acceso un filo diretto. L'idea di fondo di riportare al centro del dibattito le voci dei moderati esiste, così come non si può escludere una convergenza al centro qualora dalle urne dovesse uscire un parlamento senza una maggioranza. Da qui a far passare il messaggio che esista davvero una intesa tra Forza Italia e Pd è tutta un'altra storia. Così come è certamente forzata l'interpretazione che - a suffragio di questa tesi - porta la possibile nomina di un commissario di area centrodestra all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dopo la morte di Antonio Preto (area Fi) nel novembre scorso (con il Pd che smentisce con un comunicato l'esistenza di un accordo).

Chi prova a spiegare e a scattare una fotografia della situazione attuale è Renato Brunetta per il quale un patto tra Renzi e Berlusconi che si riflette sul governo Gentiloni «non esiste». «Esiste un atteggiamento di responsabilità di Forza Italia nei confronti di Gentiloni nella discontinuità, per cambiare verso alla politica economica disastrosa di Renzi», spiega il capogruppo di Forza Italia, ospite di Maria Latella su SkyTg24. «Il nostro è un atto di grande responsabilità, ma se ci sarà continuismo continueremo a votare contro. Questa è la linea di Berlusconi, di Forza Italia alla Camera e al Senato. Gentiloni nasce dalle macerie di Renzi ma ne è figlio. Avrà la capacità Gentiloni di cambiare verso?».

Dentro il Pd a questo punto si ragiona soltanto su due possibili scenari: voto l'11 giugno oppure a fine legislatura tra febbraio e marzo 2018. Molto dipenderà dalla «profondità» dell'intervento emendatorio della Consulta. Il Pd spera in una sentenza potenzialmente auto-applicativa che faccia saltare il ballottaggio ma non il premio di maggioranza per il partito che supera il 40%. Ne risulterebbe un sistema proporzionale con soglie di sbarramento. Forza Italia ragiona su una soglia dell'8% al Senato e del 5% alla Camera per i partiti che corrono da soli, mentre le soglie scenderebbero al 4% al Senato e al 2,5-3 alla Camera per i partiti «coalizzati».

Di sicuro, almeno stando a un sondaggio commissionato dall' Huffington Post la maggioranza relativa degli italiani (il 26%) sarebbe favorevole a un ritorno al proporzionale, ovvero al modello che Berlusconi auspica da alcune settimane per avere un Parlamento davvero rappresentativo dell'attuale sistema tripolare (centrodestra, centrosinistra e M5s).

Consensi ridotti, invece, per l'Italicum voluto da Renzi, al quarto posto nelle preferenze.

Una indicazione «popolare» che gli azzurri sperano che il Pd sia disposto a recepire.

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