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Obama: "In Siria 15mila jihadisti da 80 Paesi"

Il presidente Usa tenta di unire il mondo contro l'avanzata del Califfato: "Non si può ragionare né negoziare con il terrore"

Obama: "In Siria 15mila jihadisti da 80 Paesi"

La sala del Palazzo di vetro è stata rimessa a nuovo - sostituito il tappeto verde, e anche la grande parete dorata con il simbolo delle Nazioni Unite - ma certe vecchie ruggini restano. Barack Obama ha parlato davanti ad altri 139 leader mondiali riuniti in Assemblea Generale proprio mentre veniva diffuso il video della decapitazione dell'ostaggio francese Hervè Gourdel. E ha rinnovato il suo appello all'unità contro lo Stato islamico. «Già 40 Paesi sono nella nostra coalizione, chiedo al mondo di unirsi al nostro sforzo», ha detto, perché «l'unico linguaggio che questi terroristi capiscono è quello della forza. Nessun Dio perdona questo terrore, non si può ragionare, non si può negoziare con questo marchio del male». Una guerra contro il «cancro dell'estremismo», non genericamente contro gli «islamici», ha ribadito ancora una volta il presidente Usa, che alla distinzione tiene al punto da ripeterla ormai quasi a ogni discorso ufficiale. «Non è uno scontro di civiltà», sottolinea, ma il punto resta: serve un patto mondiale per fermare il potere del Califfato, fatto di uomini che si arruolano per combattere anche da Occidente. «Quindicimila jihadisti stranieri da oltre 80 Paesi sono andati in Siria negli ultimi anni», è l'allarme di Obama.

L'unità però latita, specie all'interno del Consiglio di Sicurezza, tanto che ieri persino il diplomatico segretario generale Ban Ki Moon, in apertura dell'Assemblea di New York, lo ha detto fuori dai denti: «Quando si agisce con una sola voce, si vedono i risultati; al contrario, le continue divisioni hanno causato enormi sofferenze umane e la perdita di credibilità per lo stesso Consiglio e per la nostra organizzazione». Il riferimento è alla Siria. L'intervento degli americani e dei Paesi alleati in Irak trova giustificazione formale nella richiesta in questo senso del governo democraticamente eletto a Baghdad. La questione Damasco è più spinosa. Didier Burkhalter, presidente della Svizzera (Paese che contribuirà con 5 milioni di franchi spalmati su 4 anni alla lotta contro i gruppi islamici) sostiene che l'azione in Siria «non rispetta il diritto internazionale», proprio per la mancanza di un'analoga richiesta da parte di Damasco. Gli ha replicato l'ambasciatrice Usa all'Onu, Samantha Power, citando l'articolo 51 dello Statuto Onu (diritto all'autodifesa in caso di attacco) e spiegando che «l'Is utilizza luoghi sicuri in Siria da cui prepara, finanzia e commette attacchi in Irak. Per questo il governo iracheno ha chiesto agli Usa di guidare gli sforzi internazionali per attaccare postazioni e roccaforti militari dell'Is in Siria». Restano altri nodi da sciogliere: Obama ha invitato l'Iran a «non sprecare l'opportunità storica» di un accordo sul nucleare, che indirettamente si ripercuote anche sulla guerra al terrorismo. E si è espresso con toni duri nei confronti della Russia: «La sua aggressione in Europa ricorda le grandi potenze che volevano soggiogare che volevano soggiogare i Paesi più piccoli». Ma ha parlato al vento: Putin all'Assemblea non c'era, come non c'era la Cina. Entrambi membri del Consiglio di sicurezza.

Twitter @giulianadevivo

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