Politica

Obiezione di coscienza sulle nozze gay. La battaglia dei sindaci di centrodestra

Dal Nordest alla Toscana, resistenze alle unioni civili tra veleni e ricorsi

Obiezione di coscienza sulle nozze gay. La battaglia dei sindaci di centrodestra

Tutti i giorni. Anzi no, solo «una volta alla settimana». A Padova meglio se di mercoledì, comunque «non di sabato», checché ne dica il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. A Trieste si potrà scegliere qualsiasi sala, purché non sia «quella dei matrimoni». A Finale Emilia, nel modenese, si ricorda che non è previsto lo scambio delle fedi. Basta una semplice «dichiarazione», meglio se fatta «in orario d'ufficio» agli sportelli dell'anagrafe, per unirsi civilmente.

Da Nord a Sud l'applicazione della legge Cirinnà sulle nozze omosessuali è un braccio di ferro serrato tra amministratori, coppie gay, associazioni lgbt, pattuglie democratiche e relativi ministri. Da quando è entrata in vigore il 29 luglio, le città governate dal centrodestra hanno alzato le barricate. Con sindaci che non si rassegnano, che si appellano alla «coscienza», che promettono di rispettare la legge ma con dei limiti che considerano invalicabili. Chiamano in causa la formazione culturale, la sensibilità, il rigore cattolico. Fanno sapere che delegheranno tutto ad assessori e funzionari, invocando quella distinzione tra matrimonio e unioni civili che tanto ha animato la discussione in Parlamento.

Le comunità gay insorgono, diffondono black list, gridano alla «discriminazione» se non all'«apartheid». E via con denunce, esposti, ricorsi. A Cascina (Pisa), la leghista Susanna Ceccardi continua la sua «battaglia» per il riconoscimento del diritto all'«obiezione di coscienza». Non vuole celebrare, né intende delegare la firma su «qualcosa che considero l'ennesima invasione dello Stato nella vita personale». Il Gay Center per le sue parole ha presentato un esposto in Procura. Nella bagarre generale arrivano puntuali le bacchettate ai ribelli. Qualche giorno fa la Boschi dal Pride Village di Padova ha avvertito il sindaco Massimo Bitonici: «Le coppie gay hanno il diritto di sposarsi anche di sabato». E dire che il leghista le voleva confinare il rito al mercoledì mattina da officiare con i funzionari dell'anagrafe. A Trieste, l'uomo della riscossa del centrodestra Roberto Dipiazza ha ceduto e fatto sapere che «su richiesta» l'atto potrà essere espletato anche di sabato. Ma sulla sala matrimoni è irremovibile, lì si celebreranno solo le unioni «tra un uomo e una donna». La coppia che si è vista negare la sala sta valutando gli estremi per un ricorso al Tar. A Piacenza invece è andata in scena la frattura tra dem. Il sindaco Pd Paolo Dosi, si era attirato le ire della Cirinnà e del senatore Sergio Lo Giudice perché aveva previsto un'altra struttura per le unioni omosessuali, anziché Palazzo Farnese. «Non abbiamo bisogno di insegnamenti in materia di diritti - aveva replicato - non è uno spazio di serie B ma una sala già destinata ai matrimoni».

Comunque sia sono tutti finiti nella «black list» di Gay Center.

Commenti