Cronache

Odissea marò, le responsabilità della Difesa

Nessuno ha pagato per la scelta di consegnare agli indiani Latorre e Girone

Odissea marò, le responsabilità della Difesa

Nonostante il rientro in patria di Salvatore Girone il caso marò non è chiuso. Negli ultimi giorni stanno venendo alla luce responsabilità sempre più chiare ed evidenti dei vertici della Marina e della Difesa nella scellerata decisione di consegnare i fucilieri del San Marco agli indiani. Un'inchiesta interna ed un fascicolo della procura militare, che forse non è ancora del tutto chiuso contengono i nomi dei responsabili. Lo ha rivelato un servizio del notiziario de La 7 e il Giornale ha trovato conferme, che coinvolgono anche il vertice politico della Difesa di allora.

Il 15 febbraio 2012, Massimiliano Latorre, a capo della squadra di marò in difesa della nave «Enrica Lexie» chiede alla sua catena di comando cosa deve fare di fronte alla richiesta indiana di tornare in porto. Di turno a Santa Rosa, il quartiere generale della Marina a Roma, c'è il capitano di vascello Martino Baldari, che informa subito l'ammiraglio di Squadra Donato Marzano, capo di stato maggiore di Cincnav. Esperto di intelligence, oggi è responsabile della logistica a Napoli. Marzano a sua volta si confronta con l'ammiraglio Luigi Binelli Mantelli comandante della squadra navale, che solo sette giorni dopo diverrà capo di stato maggiore della Marina ed in seguito salirà al vertice della Difesa.

A Latorre arriva l'ordine: «Fate rotta su Kochi». Uno dei motivi «è che gli indiani erano nostri alleati nella lotta alla pirateria». L'allora ministro degli Esteri, Giulio Terzi, la pensa diversamente. E rivela al Giornale: «Fin dall'inizio era chiaro che ci fossero malafede ed interessi economici da coprire, come le commesse di armamenti con l'India. Il ministro della Difesa è stato sicuramente informato della decisione di far invertire la rotta ai marò». Al contrario della Farnesina avvisata ore dopo. «La comunicazione è arrivata in ritardo. Quando l'ho saputo ho subito ordinato al mio capo di gabinetto di informare la Difesa, che la nave non doveva lasciare le acque internazionali», spiega Terzi. La risposta del gabinetto del ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ex ammiraglio, è stata disarmante: «La questione è superata. L'Enrica Lexie sta entrando in rada a Kochi». Terzi ha rivelato in Senato, che «il comandante della squadra navale (ammiraglio Binelli Mantelli ndr) e del Centro operativo interforze (Coi) non avanzarono obiezioni al rientro in porto». A capo del Coi, da 9 giorni, c'era il generale dei paracadutisti Marco Bertolini. Lo stesso Di Paola ha ammesso che la Difesa aveva dato il proprio consenso all'armatore omettendo di rivelare chi avesse emanato l'ordine.

L'inchiesta della procura militare non avrebbe trovato risvolti penali, ma denuncia secondo La 7 «storture, superficialità e negligenza» da parte della Marina, oltre al tentativo di scaricare le colpe sull'armatore di nave Lexie.

La tv rivela che nelle ore cruciali dell'incidente in alto mare con la morte di due pescatori indiani si stava svolgendo a Roma una videoconferenza fra i teatri operativi e le navi dislocate nelle varie missioni. Almeno una trentina di ufficiali superiori «seguirono l'evolversi della situazione al largo dell'India» secondo La 7, ma nessuno ha fatto suonare il campanello d'allarme per i marò. Una fonte militare del Giornale sostiene che «le riunioni operative in videoconferenza non affrontano emergenze del genere». Piuttosto «è impossibile» che l'ammiraglio Binelli Mantelli non abbia informato il ministro della Difesa Di Paola dell'ordine di rientro dei marò a Kochi. E pure il capo di Stato maggiore della Difesa, allora generale Biagio Abrate, doveva saperlo come normale procedura lungo la catena di comando.

Nessuno ha pagato per aver dato il via all'odissea dei marò. Motivo in più per fare chiarezza con una commissione d'inchiesta. Antonio Ciavarelli, rappresentante dei marinai (Cocer) ribadisce che «un approfondimento e chiarimento sarebbe opportuno affinché non accadano più tali dinamiche al personale inviato all'estero a difendere gli interessi italiani e la pace internazionale».

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