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Ogni calamità è un flop Così crolla il castello delle illusioni renziane

I manager del "Giglio magico" hanno fallito. E l'ad delle Ferrovie si scusa per i gravi disagi

Ogni calamità è un flop Così crolla il castello delle illusioni renziane

Renato Mazzoncini chiede scusa ma non molla la poltrona che Matteo Renzi gli ha «regalato» per altri tre anni con blitz di fine legislatura del governo Gentiloni. L'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, all'indomani della giornata di passione con i viaggiatori bloccati per ore sui treni a causa della neve, riconosce gli errori dell'azienda nella gestione dei disagi ma non ha alcuna intenzione di rassegnare le dimissioni, nonostante da più parti sia arrivato l'invito a lasciare.

Mazzoncini, in un'intervista a Repubblica, fa autocritica: «Sono stati commessi degli errori, che non ripeteremo. E dobbiamo delle scuse ai passeggeri. Quando uno sta sette ore in treno c'è poco da dire, bisogna solo scusarsi, e attrezzarsi per fare sì che non accada più». Le scuse sarebbero arrivate dopo una sfuriata del ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, particolarmente irritato dalla superficialità con cui Fs ha affrontato il previsto arrivo della neve. Nella difesa d'ufficio, il renzianissimo ad di Ferrovie rilancia, chiedendo più soldi: «Abbiamo deciso di inserire nel contratto di programma tra ministero e Rete ferroviaria italiana l'attrezzaggio di tutta la rete laziale con i sistemi antineve e antighiaccio, con un investimento di 100 milioni a regime, metteremo la rete in condizioni di parità con il resto del paese». L'ondata di neve ha messo a nudo tutta l'impreparazione dei vertici di Fs e della classe dirigente renziana nella gestione di un'emergenza. Che poi tanto emergenza non era: l'allerta meteo era prevista da giorni e le aziende di trasporto avrebbero dovuto mettere in atto le corrette azioni manutentive. Evitando la cancellazione del 20 per cento dei treni a lunga percorrenza e il 70 per cento di quelli regionali. Lo scotto più alto l'hanno pagato i pendolari fermi in stazione e in alcuni casi bloccati per ore nei vagoni.

La poltrona di Mazzoncini è salva, nonostante Matteo Salvini e Codacons ne chiedano le dimissioni. D'altronde, il suo sponsor politico, Renzi, aveva fatto i salti mortali per blindare Mazzoncini fino al 2020: a fine dicembre, a Camere sciolte e con l'esecutivo Gentiloni in carica solo per gli affari correnti, il ministero del Tesoro aveva conferito le proprie quote di Anas a Ferrovie dello Stato: un'operazione pilotata che aveva permesso il rinnovo del consiglio di amministrazione di Fs, in scadenza ad aprile 2018, fino al 2020. Una velocità d'azione per riconfermare un renziano della prima ora: rapidità che però non si è vista al momento dell'emergenza neve. Evidentemente, il Giglio Magico ha più familiarità nelle nomine che nella gestione delle difficoltà.

I disagi confermano come le calamità siano il vero tallone d'Achille di Renzi, che nei suoi mille giorni a Palazzo Chigi ha collezionato un fallimento dietro l'altro. Ad Amatrice, il rottamatore, all'indomani della prima scossa di terremoto del 24 agosto del 2016, aveva promesso normalità in tempi brevi. Dopo tre anni e sei mesi, nel borgo del Centro Italia, ma anche a Norcia, Visso e Accumoli, della ricostruzione non c'è traccia. Gli sfollati sono stati sistemati in strutture non idonee a sostenere temperature così basse. Il terremoto in compenso è servito a Renzi per trovare una poltrona alla fedelissima Paola de Micheli, piazzata alla guida del commissariato per la ricostruzione. In Campania, ad Ischia, quando il 21 agosto del 2018 la terra ha tremato, a Palazzo Chigi c'era Gentiloni. Ma il risultato è stato identico: ricostruzione ferma, terremotati ancora lontani dalle abitazioni.

E non è cambiato nemmeno il fallimento del modello renziano di gestire emergenza e post-emergenza.

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