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Olanda, il voto dirà in che continente viviamo

Nel Paese più aperto al mondo è cambiata l'aria. Adesso si vedrà quanto

Olanda, il voto dirà in che continente viviamo

Le elezioni olandesi «sono l'antipasto, quelle francesi il primo piatto, quelle tedesche la pietanza. Solo alla fine del pasto sapremo se l'Europa come la conosciamo riuscirà a sopravvivere». Questo commento «gastronomico» riassume perfettamente le prospettive del nostro continente, non solo sul piano politico, ma anche su quello sociale e culturale: siamo di fronte sia pure con sfumature diverse da Paese a Paese - a un triplice scontro tra populisti e liberali, tra sovranisti ed europeisti, tra chi rifiuta l'Islam e chi conta (o si illude) di assorbirlo. L'Olanda, uno dei Paesi fondatori della CEE ma anche quello che, dopo la Francia, bocciò con un referendum il progetto di Costituzione europea, sarà oggi il primo campo di battaglia; e la sua storia è abbastanza emblematica per prendere una elezione, che fino a pochi anni fa sarebbe passata quasi inosservata, molto sul serio.

Gli olandesi sono stati a lungo, anche per la loro storia, tra gli europei più aperti al resto del mondo e refrattari al razzismo. Dopo la dissoluzione del loro impero, accolsero senza problemi immigrati dall'Indonesia e dal SurinamE, e successivamente dal Marocco e da altri Paesi islamici. Rotterdam è diventata la metropoli europea a più alta densità extracomunitaria, con due quinti dei cittadini originari di altri continenti, e quella che ha eletto il primo sindaco musulmano. Ma la pacifica convivenza non ha resistito alla lenta, ma inesorabile radicalizzazione della popolazione islamica: la vera svolta è venuta nel 2004, con l'efferato assassinio da parte di un jihadista ante litteram di origine marocchina del popolare regista cinematografico Theo Van Gogh. Questi, già noto per varie polemiche antiimmigrati, aveva appena girato (in collaborazione con una deputata di origine somale, Aysan Hirsi Ali che poi ha dovuto rifugiarsi negli Stati Uniti) un cortometraggio intitolato «Sottomissione» in cui condannava il trattamento delle donne nel mondo islamico. Il killer lo abbattè a revolverate e poi gli piantò in corpo due lame con attaccato un biglietto in cui «spiegava» i motivi del delitto.

Fu dopo questo crimine che cominciò l'ascesa politica di Geert Wilders: già deputato indipendente, fondò il Partito della Libertà, che ha nel suo programma di cacciare dal Paese tutti i musulmani, equipara il Corano a Mein Kampf e vuol metterlo al bando e si propone anche di voltare le spalle all'Euro e alla UE. Nel giro di poco più di dieci anni, il PVV ha raccolto, di elezione in elezione, il sostegno di un numero sempre maggiore di olandesi, fino ad arrivare, a un certo punto, a essere il primo partito, con un seguito che variava dal 15 al 22%. Secondo gli ultimi sondaggi, sarebbe stato sorpassato in extremis a livello nazionale dai conservatori del premier Mark Rutte, che, anche per contrastarlo, ha affrontato con sorprendente fermezza lo scontro con Erdogan, che pretendeva che i suoi ministri venissero in Olanda ad arringare senza contradditorio - la minoranza turca a favore di una modifica costituzionale che trasformerebbe il suo Paese in una dittatura.

Tra i due sarà uno scontro all'ultimo voto. Se anche Wilders vincesse, non diventerebbe primo ministro, perché a causa del suo estremismo nessun altro partito è disposto a governare con lui.

Ma i consensi che raccoglierà forniranno una prima, preziosa indicazione del clima che regna in Europa in questo anno fatale, e finirà con l'influenzare anche gli altri scontri.

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